Non si conosceva il suo nome, ma gli studiosi lo avevano soprannominato “l’uomo della buca“. È morto ora, nella Foresta amazzonica del Brasile, l’ultimo membro di un gruppo indigeno, che negli ultimi 26 anni era rimasto in totale isolamento.
Storia dell'”indigeno della buca” e della sua tribù
Era stato ribattezzato “l’indigeno della buca” per l’abitudine di scavare buche profonde, in gran parte utilizzate per intrappolare gli animali durante la caccia o per nascondersi, ma il suo vero nome resta ignoto. Si tratta dell’ultimo membro di un gruppo indigeno incontaminato stanziato nella Foresta amazzonica del Brasile, nello Stato di Rondonia, al confine con la Bolivia. Si ritiene che gli altri membri della tribù, stabiliti nell’area indigena di Tanaru, siano stati uccisi già negli anni Settanta da alcuni allevatori che volevano espandere le loro terre. Poi, sei dei restanti membri del gruppo indigeno sarebbero stati uccisi nel 1995 in un attacco da parte di minatori illegali, rendendo “l’uomo della buca” l’unico sopravvissuto.
La Fondazione Nazionale dell’Indio (Funai) era venuta a conoscenza della sua esistenza solo nel 1996 e da allora aveva cercato di monitorarne i movimenti, a garanzia della sua sicurezza. La Costituzione del Brasile prevede infatti che gli indigeni abbiano diritto alla propria terra tradizionale, ma è stata proprio questa tutela, negli anni, a metterli in pericolo, poiché coloro che volevano impossessarsi della terra ricorrevano all’uccisione. Survival International, un gruppo di pressione che si batte per i diritti delle popolazioni indigene, ha avvertito che in Brasile ci sono circa 240 tribù autoctone, molte delle quali sono minacciate dalle azioni illegali di minatori, taglialegna e agricoltori.
L’uomo ora è morto: il ritrovamento del corpo nella Foresta amazzonica
Nel 2018 i membri del Funai erano riusciti a filmare l’uomo durante un incontro casuale nella giungla: nel video era stato immortalato mentre tagliava un albero con un’ascia. Da allora non era stato più avvistato, anche se spesso gli agenti della Fondazione si imbattevano nelle capanne di paglia che costruiva e nelle buche che scavava. Ora, secondo quanto riportato dalla Bbc, il suo corpo sarebbe stato ritrovato, senza vita e coperto di piume, su un’amaca fuori dalla sua capanna di paglia, dove alcune prove dimostrano che abbia piantato mais e manioca e frutti come papaia e banane. Secondo alcuni esperti, l’uomo, l’ultimo esponente della tribù, aveva circa una sessantina d’anni e viveva isolato da 26. In base ai primi accertamenti sarebbe morto per cause naturali, visto che sul corpo non sono stati rinvenuti segni di violenza, né sono state trovate tracce di incursione nel suo territorio e nella sua dimora. La polizia locale ha annunciato che svolgerà comunque delle indagini per accertare la causa del decesso. Se ne va così l’uomo più solitario del mondo, simbolo del genocidio indigeno in Brasile. Queste le parole di Fiona Watson, direttrice del Dipartimento ricerca e advocacy di Survival International, che nel 2004 aveva visitato l’area:
L’uomo della buca è il simbolo sia delle crudeltà e delle violenze inflitte ai popoli indigeni di tutto il mondo nel nome della colonizzazione e del profitto, sia della loro resistenza. Possiamo solo cercare di immaginare gli orrori a cui ha assistito nella sua vita e la solitudine della sua esistenza dopo che il resto della sua tribù morì, ma ha resistito con determinazione a tutti i tentativi di contatto e ha chiarito bene che voleva solo essere lasciato solo.
Non resta che sperare che le autorità cerchino di mettere fine agli episodi di violenza che, da sempre, toccano le popolazioni indigene, le quali, altrimenti, rischiano di “essere spazzate via”.