“Chiacchiere da bar” è un’espressione che viene utilizzata spesso per commentare le discussioni che avvengono nei talk show televisivi e sui social a proposito di argomenti importanti come la politica e la pandemia, la guerra e le bollette del gas. Quando la discussione si trasforma in rissa viene detto che sono “chiacchiere da bar”. Ma siamo sicuri che il bar non sia stato un luogo di sana discussione e formazione delle idee anche su temi importanti e non solo sulla staffetta Mazzola-Rivera ai mondiali di calcio del ’70? Ad esempio, Brunello Cucinelli, l’imprenditore del cachemire nato nel ’53 nel borgo di Castel Rigone (Perugia) da una famiglia contadina, ricorda gli anni giovanili passati al bar “al gioco delle carte, ai caffè consumati alle due del mattino, dietro alle infinite discussioni di donne, politica, filosofia e spiritualità, che si prolungavano fino all’alba”. E “guardo dentro alle cose di quel tempo e mi appaiono ora per quello che anche furono, una personale università di vita e di umana conoscenza” scrive Cucinelli nel libro “Il sogno Solomeo”. Oggi nei bar si va per bere un caffè e l’amaro, mangiare un dolce. Tutto alla svelta e via, si scappa. Spesso si classificano “chiacchiere da bar” anche gli scontri che si rilevano sui social e che vedono protagonisti gli attori principali della vita politica, culturale e sanitaria. Umberto Eco sosteneva che siamo in presenza di “una legione di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Con una pacca sulla schiena venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli”.
La sintesi tra Brunello Cucinelli, Umberto Eco ed Emanuele
C’è una sorta di analogia: al bar, quando non si consumava il caffè e si scappava, si discuteva e ci si formava, si litigava ma guardandosi negli occhi, su facebook e twitter ci si insulta magari nascondendosi dietro un profilo falso oppure non si hanno remore perchè, a distanza, non si rischia di prendere un cazzotto dall’interlocutore. C’è una via di uscita? Un amico, Emanuele, qualche giorno fa mi ha scritto un messaggio: “Prima l’accesso ai media era sorvegliato da professionisti, giornalisti ed editori, più o meno portatori di una comunicazione libera, una sorta di doganieri della notizia. Oggi l’era dei doganieri editoriali è finita e si assiste al gioco a campo libero, senza regole e senza esclusione di colpi”. E propone una ricetta: “Per navigare occorre buon senso misura ed equilibrio ma soprattutto capacità critica. Lo scemo del villaggio non trionfa mai per forza propria, ma solo per debolezza del sensato del villaggio e soprattutto perché trova approdi che lo accolgono porgendogli tappeti cosparsi di luccicanti metalli”. Tra Cucinelli, Eco ed Emanuele la via giusta e di sintesi si chiama buonsenso. Quello che manca ai più.
Stefano Bisi