Ha parlato ai microfoni delle Iene, Alberto Stasi, il 39enne accusato dell’omicidio della fidanzata Chiara Poggi in quello che è passato alla cronaca come il delitto di Garlasco. È il 2007 quando la vittima viene assassinata nell’abitazione di famiglia, poi, nel 2015, la Corte di Cassazione riconosce come unico colpevole del delitto il giovane, che continua a dichiararsi innocente.

Il delitto di Garlasco: i fatti

13 agosto 2007. Chiara Poggi, 26 anni, viene trovata morta – in una pozza di sangue – nella villetta di famiglia in via Pascoli, a Garlasco, piccolo paesino della provincia di Pavia, dal fidanzato Alberto Stasi, primo sospettato dell’omicidio. Secondo le ricostruzioni degli inquirenti, Chiara, quella mattina, avrebbe aperto la porta di casa in pigiama e in maniera spontanea, facendo intendere di conoscere l’assassino, visto che all’interno dell’abitazione non furono riscontrati segni di effrazione. La ragazza era sola in casa, mentre il fratello e i genitori erano in vacanza. A destare i sospetti sul giovane, uno studente della Bocconi in seguito impiegato commercialista, fu l’eccessiva pulizia dei vestiti e delle scarpe, che fece subito pensare che potesse essersi cambiato. Camminando nei corridoi sporchi di sangue della scena del crimine, avrebbe infatti dovuto sporcarsi, mentre le perizie dimostrarono che le scarpe erano prive di tracce, così come il tappetino dell’auto. Secondo l’alibi fornito da Stasi, la mattina del delitto avrebbe lavorato alla redazione della tesi; indagini successive mostrarono che il giovane si trovò effettivamente al computer (dove venne ritrovato anche materiale pedopornografico) dalle 9:35 alle 12:20, lasciando quindi aperta una finestra di tempo, dalle 9:12 alle 9:35, orario in cui Chiara disattivò l’antifurto di casa. Due testimoni rivelarono inoltre di aver visto, quella mattina, una bicicletta nera da donna appoggiata fuori al muro di cinta della villetta: bicicletta da subito collegata all’assassino e di cui un modello simile venne scoperto proprio a casa di Stasi. Così, dopo varie indagini, che mostrarono delle incongruenze nei suoi racconti, il giovane fu condannato in Cassazione nel 2015, continuando però a dichiararsi innocente.

Alberto Stasi: “Togliere la libertà a una persona innocente è violenza”

È tornato ora sulla questione, Alberto Stasi, che sconta la pena di 16 anni nel carcere di Bollate. Ai microfoni delle Iene ha infatti ribadito la sua innocenza, dichiarandosi vittima del sistema:

Nell’immaginario comune un innocente in carcere è un qualcuno che soffre all’ennesima potenza. Per me non lo è, semplicemente perché la mia coscienza è leggera. Alla sera quando mi corico io non ho nulla da rimproverarmi. Certo, ti senti privato di una parte di vita perché togliere la libertà a una persona innocente è violenza, però non hai nulla da rimproverarti, l’hai subita e basta, non è colpa tua.

È poi tornato sulle tappe che gli hanno aperto le porte della reclusione:

Perché hai fretta di portare in carcere una persona sulla base di un risultato ancora parziale? Non c’era motivo, ma il meccanismo si era messo in moto: era stato emesso un provvedimento, i carabinieri erano arrivati, i giornalisti erano già fuori dalla caserma, mandare tutti a casa, in qualche modo, credo dispiacesse.

E ha concluso:

Perché ho deciso di parlare oggi? Per dare un senso a questa esperienza, perché certe cose non dovrebbero più accadere. Se una persona vive delle esperienze come quella che ho vissuto io – ha aggiunto – questa deve essere resa pubblica, a disposizione di tutti, e visto che ho la possibilità di parlare lo faccio, così che le persone capiscano, possano riflettere e anche decidere, voglio dire, se il sistema che c’è va bene oppure se è opportuno cambiare qualche cosa.

Parole che dividono il web tra chi si schiera dalla parte del ragazzo e chi, senza esserne ammaliato, crede senza dubbi alla sua colpevolezza. Intanto l’avvocato della famiglia Poggi, Gianluigi Tizzoni, sconcertato dall’ennesima apparizione di Stasi in tv, fa sapere: “Il contraddittorio, ci terrei a sottolineare, non è la famiglia Poggi, ma è lo Stato italiano che con sentenze di Cassazione e delle Corti di appello ha accertato al di là di ogni ragionevole dubbio la responsabilità di Stasi per l’uccisione di Chiara Poggi”.