È quanto affermato da uno studio del Weizmann Journal of Science israeliano pubblicato sulla rivista Cell: alcuni dolcificanti comunemente usati per sostuire lo zucchero non sono del tutto inermi per il corpo umano, ma possono alterare il nostro microbiota intestinale, influenzando la risposta glicemica. I risultati arrivano a qualche settimana dall’allarme dell’Oms sul rischioso utilizzo dei dolcificanti nelle diete.

Lo studio israeliano: i risultati sull’analisi di 120 soggetti

I ricercatori israeliani hanno selezionato 120 individui in buona salute di età media di 29 anni (di cui il 65% donne) e con una dieta che escludeva i dolcificanti. I partecipanti sono stati suddivisi in sei gruppi da 20 persone: i componenti di quattro gruppi hanno ingerito ciascuno per 2 settimane diversi tipi di dolcificanti (saccarina, sucralosio, aspartame e stevia) in dosi comunque al di sotto di quelle raccomandate dalle linee guida della FDA (Food and Drug Administration); il quinto gruppo ha consumato solo la parte “riempitiva” di questi dolcificanti, cioè una quantità che viene aggiunta al dolcificante per aumentarne la quantità; il sesto gruppo era invece quello di controllo. I risultati mostrano ora che ogni dolcificante somministrato ha alterato distintamente il microbiota intestinale dei partecipanti allo studio, mentre la saccarina e il sucralosio hanno anche modificato in modo significativo le risposte glicemiche. I cambiamenti nei batteri intestinali sono risultati correlati con queste alterazioni della glicemia, presenti, anche se in modo diverso, in tutte le persone coinvolte.

La controprova con i topi

Per avere una conferma del collegamento tra le alterazioni glicemiche e microbiche dopo l’assunzione di dolcificanti, i ricercatori hanno deciso di somministrare ad alcuni topi in via orale parti di microbiomi prelevati dai partecipanti con alterazioni dei livelli di glucosio nel sangue. Questo ha permesso di scoprire che i topi, allevati in condizioni completamente sterili e quindi privi di un proprio microbioma, mostravano cambiamenti glicemici simili a quelli riscontrati dai soggetti donatori. L’autore senior dello studio, Eran Elinav, immunologo, ha precisato che gli effetti dei dolcificanti variano, comunque, da persona a persona, a causa della composizione unica del microbioma. Ciò che è chiaro è che i dolcificanti non sono inermi per il nostro organismo, anche se sono senza calorie: gli effetti studiati – come ha precisato lo stesso – sono stati reversibili non appena i dolcificanti non sono più stati somministrati.

L’Oms aveva già avvertito i consumatori sugli effetti dei dolcificanti

Non è la prima volta che si dibatte sugli effetti degli edulcoranti. Solo qualche settimana fa l’Oms aveva ribadito in una bozza delle linee guida sul loro utilizzo che “i dolcificanti non devono essere utilizzati come strumenti per perdere peso o per ridurre il rischio di malattie trasmissibili”. Si tratta di sostanze (naturali o artificiali) che non possono essere classificate come zuccheri e che non contengono calorie, tra le quali si citano, a titolo di esempio, il sucralosio, l’aspartame, la saccarina, l’acesulfame-K, il neotame, l’advantame, la stevia e il monk fruit. Nel documento l’Oms ne sconsigliava apertamente l’uso perché ascrivibili al junk food. Il tentativo è quello di attrarre i clienti con l’idea delle calorie zero, ma sostituire lo zucchero con un dolcificante non rende migliore un alimento povero dal punto di vista nutrizionale, anzi. Anche se nell’immediato ci può essere qualche beneficio sul peso, come si legge nel testo, si tratta di effetti a breve termine e a prevalere sul lungo periodo sono le conseguenze negative,  compreso l’aumento del rischio di sviluppare diverse malattie quali il diabete, l’obesità e le patologie cardiovascolari. Bisogna stare attenti, quindi, e non farsi ingannare dalla parola “zero”, che nasconde in realtà molto più di ciò che sembra.