Parte a Los Angeles il processo che la vedova di Kobe Bryant ha avviato contro poliziotti e pompieri che scattarono foto del corpo della leggenda della Nba, subito dopo l’incidente in cui morirono l’ex giocatore dei Lakers, la figlia Gianna 13enne e altre sette persone.
È cominciato a Los Angeles il processo che la vedova di Kobe Bryant ha avviato contro le autorità che quel giorno, scattarono foto del corpo dell’ex giocatore dei Lakers, subito dopo l’incidente in elicottero in cui morirono lui, la figlia Gianna di 13 anni e altre sette persone, tra cui due compagne di squadra della figlia di Kobe.
Vanessa Bryant, moglie del cestista di fama mondiale, sostiene che quelle foto non vennero scattate a scopo investigativo ma solo per interesse morboso nel voler documentare e forse vendere, le immagini sconvolgenti del corpo di Bryant.
Le immagini, assieme a quelle dei corpi delle altre vittime, vennero infatti, mostrate a più persone, nei giorni seguenti la tragedia, avvenuta il 26 Gennaio del 2020.
Le foto non sono mai finite sui media, ma questo, secondo la vedova di Bryant, non ha alleggerito la posizione di chi doveva pensare soltanto a garantire il recupero dei corpi e la raccolta di documenti utili all’indagine.
Processo Kobe Bryant: la contea offre un risarcimento d 2,5 milioni
Secondo la contea di Los Angeles, la vedova Bryant soffrirebbe di angoscia emotiva per le morti, non per le foto che lo sceriffo Alex Villanueva aveva ordinato di cancellare.
Una legge varata dopo l’incidente ha stabilito infatti, che è un reato scattare foto non autorizzate di persone decedute sulla scena di un incidente o di un crimine. La contea di Los Angeles dove avvenne la tragedia, ha già raggiunto un accordo per un risarcimento di 2,5 milioni a due famiglie delle vittime. Vanessa Bryant ha seguito un percorso diverso però e ha chiesto un risarcimento molto più alto, per questo i rappresentanti della contea l’hanno accusata di essere “in cerca di soldi”.
La vedova della famiglia Bryant ha lottato per rivelare i nomi delle persone che si trovavano sulla scena dell’incidente e avevano scattato le foto che sono state poi condivise con il pubblico. La prima mossa della Contea, in contropiede alla richiesta della donna, senza risultato, è stata quella di una visita psichiatrica per Vanessa, per aver affermato che quelle foto le causavano seri problemi emotivi.
“La signora Bryant vive nella paura che lei o i suoi figli un giorno si trovino di fronte a immagini orribili dei loro cari online”, hanno dichiarato in aula i legali della vedova Bryant.
Foto scattate “per divertimento”
In questa fase il contrattacco dell’avvocato della famiglia Bryant, Louis Lee, si basa su una “cultura istituzionale dell’analgesia” ovvero l’insensibilità al dolore, come motivo che ha spinto le persone delle Autorità e dei Vigili del fuoco a scattare queste foto per “pettegolezzo” e a mostrarle “per divertimento” senza alcuno scopo ufficiale. “Sono stati ripetutamente condivise con persone che non avevano assolutamente alcun motivo per vederle”, ha concluso in un nota l’avvocato della famiglia Bryant.
La contea ha invocato motivi professionali in difesa dei suoi uomini, tuttavia Lee ha presentato in tribunale il video di sicurezza di un agente di polizia fuori servizio che beve in un bar mostrando le foto a un barista, oltre a diapositive che lo immortalano a diffondere le foto ad altre 30 persone accusando l’assenza di privacy nello svolgimento delle indagini.
Al contrario, i legali dei presunti responsabili hanno sostenuto che non essendo le foto trapelate online non vi sono ulteriori rischi. “Ha mostrato queste immagini in un momento di debolezza e se ne rammarica ogni giorno della sua vita”, ha detto l’avvocato dell’ufficiale di polizia. Vanessa Bryant è inoltre, affiancata da Chris Chester, la cui moglie e figlia erano anche a bordo dell’elicottero e i due sono intenti a portare fino in fondo la causa.