Nata in Cile nel 1942, Isabel Allende, naturalizzata statunitense, spegne oggi 80 candeline. Fin da “La casa degli spiriti”, romanzo pubblicato per la prima volta in Italia da Feltrinelli nel 1983, l’autrice ha fatto delle storie un modo per dare un senso al caos degli eventi, a volte anche traumatici, che hanno costellato la sua vita.
Isabel Allende, una vita difficile consacrata alla scrittura
La scrittura per me è un tentativo disperato di preservare la memoria. I ricordi, nel tempo, strappano dentro di noi l’abito della nostra personalità, e rischiamo di rimanere laceri, scoperti. Così scrivere mi consente di rimanere integra e di non perdere pezzi lungo il cammino.
Nata in Perù negli anni Quaranta del secolo scorso, Allende è costretta ad emigrare a Santiago con la madre e i due fratelli dopo l’abbandono del padre, per andare a vivere nella casa del nonno, che l’autrice evocherà più tardi ne “La casa degli spiriti“, suo primo romanzo, destinato a diventare anche il più amato dal pubblico e trasformato ad Hollywood in un celebre film del 1993. Ma non è la fine del loro girogavare, perché la madre sposa presto un altro diplomatico, costringendo la famiglia a spostarsi prima in Bolivia, poi in Europa e infine in Libano.
Allende tornerà in Cile solo nel 1959, sposando qualche anno più tardi Michael Frías, da cui avrà due figli, Paula e Nicolás. Il colpo di stato guidato da Pinochet la coglierà impegnata come giornalista e, per colpa del suo cognome ingombrante (il presidente Salvador era il cugino di suo padre) sarà obbligata a lasciare il Paese e a rifugiarsi in Venezuela con la sua famiglia. Sono anni difficili, coronati nel 1988 dal divorzio con il marito e il successivo matrimonio con William Gordon, con il conseguente trasferimento in California, dove l’autrice risiede tutt’ora. Scrive in questo periodo di cambiamenti il romanzo “Eva Luna“, che ha per protagonista una giovane che sfugge alla realtà inventando storie e che vince nello stesso anno l’American Book Awards.
Ma nel 1991 un nuovo evento la mette a dura prova: la figlia Paula si ammala, a 28 anni, di una rara malattia, la porfiria, che la trascina in un lungo coma. La madre non la abbandona mai, restando al suo capezzale per tutto il tempo, iniziando a raccontare i ricordi della loro vita insieme in una commovente autobiografia, “Paula”, che esce nel 1995, tre anni dopo la morte della giovane. È un punto di svolta della sua vita, un dolore che la porta a creare una Fondazione a nome della figlia, con lo scopo di aiutare donne sole, migranti, bambini in difficoltà.
Una missione che Allende ha portato e porta avanti anche nella scrittura, spesso usata come manifesto di libertà e uguaglianza. Ne è un esempio una delle sue ultime pubblicazioni, in Italia sempre per Feltrinelli, “Donne dell’anima mia” (2020), in cui Allende parte dall’infanzia e dall’adolescenza, passate nella cornice di una rigida struttura patriarcale, fino ad arrivare alla terza età e al suo ultimo matrimonio, all’età di 77 anni, per indagare le ragioni del suo convinto femminismo, esito naturale del suo vissuto. Un’autrice amata, ma anche una donna forte, Isabel, che ha trovato nella scrittura e nell’indipendenza ostinata la sua ancora di salvezza. Proprio come scrive in “Violeta“, suo ultimo libro:
Ci sono crocevia del destino che non possiamo riconoscere nel momento in cui li attraversiamo, ma se si vive abbastanza a lungo, come è capitato a me, li si riesce a distinguere con nitidezza. Lì dove si incrociano o si biforcano le strade dobbiamo decidere la direzione da prendere. Quella scelta può determinare il corso della nostra vita.