Se la recessione economica rimane uno spettro da scongiurare, la recessione demografica è invece già iniziata ed è destinata ad avere effetti significativi in ambito lavorativo.

Recessione demografica, gli effetti sulle previsioni al 2042

La Fondazione Di Vittorio, organismo che si appoggia alla Cgil, ha elaborato i dati demografici dell’Istat riproponendoli in chiave lavorativa per il futuro: il risultato prevede un cambiamento drastico dovuto al fortissimo abbassamento del tasso di natalità e mette in correlazione la recessione demografica con i dossier migratori e occupazionali.

La prima stima che viene offerta ai lettori è relativa alla popolazione in età lavorativa, che contestualmente viene segmentata nella fascia d’età 15-64 anni. Ebbene, per la Fondazione Di Vittorio nel 2042, dunque tra vent’anni, calerà di 6,8 milioni. Per contrastare questa decrescita importante, la soluzione ventilata richiama la contrattualizzazione dei lavoratori stranieri:

Attenzione ad esultare quando il tasso di occupazione sale: è un effetto ottico, perché la base si sta restringendo. Il tasso di maggio, celebrato come record, sarebbe un punto più basso se la forza lavoro fosse la stessa di febbraio 2020: e invece siamo sotto di 600 mila unità. Per rendere sostenibile il nostro sistema previdenziale dovremo ampliare quella base anche tramite regolarizzazione di stranieri necessari per occupare i posti di lavoro scoperti

Fulvio Fammoni, presidente Fondazione Di Vittorio

In un certo senso si vuole anche rispondere alla difficoltà di reperimento della manodopera da parte delle imprese: non sarebbe solo una questione “qualitativa” (basata sulle competenze) ma proprio di numeri, specialmente in quei settori che richiedono grandi quantità di forza lavoro in determinati periodi dell’anno (turismo e agricoltura in cima). Qui subentra il fenomeno della migrazione all’estero, molto spesso dettato da condizioni economiche più favorevoli, e dunque sottrazione di ulteriore base lavorativa da cui attingere.

Meno lavoratori significa anche più contributi da pagare ai pensionati

Il report prosegue poi mostrando tutti i trend in decrescita che renderanno l’Italia un Paese sempre meno popolato. Molti degli emigrati italiani sono nella fascia d’età 25-34 anni e dalle competenze altamente qualificate, specchio della “fuga dei cervelli” che non riguarda più solo la nazione al suo interno. Una simile perdita inficia ovviamente lo sviluppo economico e sociale di qualsiasi entità.

Un Paese sempre meno popolato e sempre più vecchio: l’Italia come culla dei pensionati il cui sussidio mensile rischia però di essere scoperto andando avanti di questo passo. Chi pagherà i contributi se non c’è presenza fisica delle generazioni successive? Sempre meno lavoratori dovranno farsi carico di sempre più persone che dipendono dalla pensione o dall’assistenza. Nel 2042 il rapporto tra popolazione giovane e anziana sarà di 1:3, mentre il rapporto tra chi lavora e non lavora si avvicinerà alla parità.