E’ stata emessa la sentenza sul caso soprannominato da molti “Wagatha Christie”: l’appello ha dato ragione a Coleen Rooney e ha dichiarato colpevole, invece, Rebekah Vardy, con un capovolgimento di fronte in stile Johnny Depp e Amber Heard.
La signora Vardy aveva accusato la moglie di Rooney di aver passato delle informazioni al tabloid inglese “The Sun”, denunciandola per aver commesso il reato di diffamazione.
Nel primo grado di giudizio Coleen Rooney era stata condannata dal giudice ed il processo perso contro Rebekah Vardy ha compromesso la sua reputazione.
Ciò nonostante, durante il processo in appello, la situazione si è totalmente capovolta ed il giudice, infine, ha deciso per la colpevolezza della moglie di Vardy, condannandola al pagamento di 3 milioni di sterline in favore della compagna di Rooney.
Chi sono Rebekah Vardy e Coleen Rooney
Il soprannome che è stato dato a questa causa intentata da Rebekah Vardy è soprannominato “Wagatha Christie”, dal momento che sia lei che Coleen Rooney sono moglie di due calciatori inglesi estremamente famosi, riprendendo l’etimologia dalla parola “wags“.
E anche dal momento che le tecniche che sono state utilizzate per passare le informazioni confidenziali ai tabloid inglesi sono degne di un giallo di Agatha Christie.
Rebekah ha 40 anni ed è la moglie del famoso calciatore inglese, di ruolo attaccante, che gioca nel Leicester e per la nazionale inglese, Jamie Vardy.
Mentre, Coleen è una presentatrice televisiva molto famosa e moglie dell’ex giocatore del Manchester United e della nazionale inglese, ad oggi allenatore, Wayne Rooney.
Verdetto “Wagatha Christie”: le origini della causa per diffamazione
Il caso Wagatha Christie, ossia la causa per diffamazione che è stata intentata da Rebekah Vardy nei confronti di Coleen Rooney è stata molto seguita dalle riviste nazionali ed internazioni, ma anche all’interno dei social network.
La motivazione per cui è sta molto al centro dell’attenzione si può attribuire al fenomeno di gossip, per cui le due sono entrambe mogli di due calciatori molto famosi nel mondo, ma anche ad un capovolgimento di fronte piuttosto bizzarro, che ha visto decretare come colpevole colei che inizialmente aveva denunciato il fatto, attribuendolo all’altra parte (un po’ come è successo nel caso tra Johnny Depp ed Amber Heard per intenderci).
Infatti, alle origini di questa causa per diffamazione, c’è una rivelazione da parte di Coleen Rooney, la quale pubblicò sui social di aver scoperto che Rebekah Vardy stava passando delle informazioni private ai tabloid inglesi.
D’altro canto, invece, la moglie di Vardy decise di denunciare Coleen per non aver rispettato la sua privacy e per averla accusata ingiustamente con il solo ed unico scopo di distruggerle la reputazione e la sua carriera professionale.
Agli inizi infatti l’imputata che era sotto accusa era proprio la compagna di Rooney, tanto che quest’ultima è stata anche dichiarata colpevole dal giudice durante il processo di primo grado.
Ciò nonostante Coleen non ha mai rinunciato a difendere le proprie ragioni ed, infatti, a maggio di quest’anno il caso è finito per richiamare l’attenzione di tutti i quotidiani inglesi ed internazionali, dal momento che un’investigazione a livello amatoriale portata avanti dalla signora Rooney ha dimostrato alla fine la colpevolezza di Rebekah Vardy.
Coleen pubblicò sul suo profilo Instagram delle storie false per poter capire se fossero apparse o meno sui tabloid e per farlo decise di rendere le storie visibili solamente a Rebekah Vardy.
Rebekah Vardy “attivamente coinvolta” nelle fughe di notizie: l’appello dà ragione alla signora Rooney
Il giudice Justice Steyn ha dato ragione a Coleen Rooney, dichiarando Rebekah Vardy colpevole, in quanto “sapeva ed era attivamente coinvolta” nelle fughe di notizie ai media dalla sua ex agente Caroline Watt.
E che, inoltre, “avesse deliberatamente nascosto le prove”, cancellando i messaggi su WhatsApp in maniera “deliberata piuttosto che accidentale”.
Inoltre, ha definito le prove presentate da Rebekah Vardy “palesemente incoerenti, evasive o implausibili”, condannando la donna al pagamento di 3 milioni di sterline in una causa per diffamazione definita dal giudice come “la più sconsiderata della storia”.