Problemi economici post crisi governo Draghi. Da quando il Governo Draghi è caduto si rincorrono previsioni via via negative sugli effetti di tale evento sull’economia italiana. C’è chi parla di miliardi persi, chi ancora di recessione senza precedenti e chi, spinti da una campagna elettorale sui lidi d’Italia, paventa l’imminente arrivo dell’Esercizio Provvisorio.

Problemi economici post crisi governo Draghi

Certamente, la stabilità rappresenta una determinante della crescita economica e che, invece, l’instabilità -o meglio l’incertezza politica- non giova a nessuna economia. Tuttavia, bisogna sempre saper pesare quanto si afferma perché a furia di caldeggiare una campagna elettorale del terrore alla fine potrebbero auto-avverarsi aspettative negative. Quest’ultime, a dispetto delle previsioni nefaste che si leggono sui giornali o si stanno sentendo in questi giorni da alcuni esponenti politici, rappresenterebbero un vero problema insieme a quello reale (e monetario) dell’inflazione in atto. Pertanto, dato un Governo in carica in grado di usare i decreti leggi per far fronte a situazioni di necessità ed urgenza, una data certa delle Elezioni al 25 settembre che permetterà di presentare nei tempi utili la Manovra di Bilancio di ottobre, la possibilità di usare l’art.21 del RRF che prevede la possibilità di modificare le scadenza del PNRR in vista di situazioni oggettivamente particolari come le elezioni anticipate, non ci rimane che preoccuparci dell’inflazione.

L’aumento generalizzato e prolungato dei prezzi rappresenta, in economia, il clima ideale per incertezza e sfiducia. A differenza di altre problematiche economiche, l’inflazione provoca effetti multipli e ben precisi su un sistema economico. In primis, favorisce i debitori a discapito dei creditori (e questo potrebbe andar bene certamente per il nostro debito pubblico, tuttavia lo aggrava dal momento che aumentato i prezzi per l’erogazione dei servizi pubblici); causa una drastica riduzione del risparmio delle famiglie che anticipano i consumi; danneggia le forme di risparmio specialmente di coloro i quali hanno preferito detenerne forme liquide; causa un danno alla bilancia commerciale dal momento che rende i prodotti nazionali meno competitivi; distrugge man mano il potere d’acquisto delle famiglie.

Nonostante gli interventi anti-inflattivi spettano per lo più alla politica monetaria (la BCE ha alzato i tassi dello 0,50%), anche quelle fiscali potrebbero giocare un ruolo importante in questa situazione. Di fatto, noi ci troviamo di fronte a quella che viene per lo più definita inflazione importata, che certamente è la forma più difficile da combattere per i paesi industrializzati che dipendono molto dai beni energetici del resto del mondo. Eppure, un mix di misure anti-inflattive fiscali e di sostegno potrebbero coadiuvare un momento difficile come questo che stiamo vivendo. In primis, bisognerebbe sostenere la spesa delle famiglie attraverso una politica di taglio alle imposte indirette ed in particolare dell’IVA sui beni di largo consumo (facilmente sostenibile nel bilancio pubblico utilizzando l’extra-gettito accumulato proprio dall’inflazione sull’IVA).

Successivamente, un buon programma elettorale potrebbe optare per una riduzione della spesa pubblica improduttiva che ridurrebbe il debito attraverso una doppia velocità liberando gettito per una manovra fiscale accomodante verso i lavoratori e le imprese. In tal caso, verrebbero avvantaggiati sia i consumatori che il mercato del lavoro in generale. Pertanto, invece di creare il terrore di quello che si poteva fare, pensiamo a quello che invece si può e si deve fare.

Prof. Marco Mele

Associato di Politica Economica, Università Niccolò Cusano.

Prof. Cosimo Magazzino

Associato di Politica Economica, Università di Roma Tre