L’Italia perde uno dei pochi grandi innovatori dell’arte del nuovo millennio: è morto l’artista Salvatore Iaconesi dopo dieci anni di strenua lotta contro il cancro.
Ed anzi è stato proprio il cancro a guidare ed ispirare la straordinaria performance artistica nella quale Iaconesi aveva trasformato la sua vita.
Quando il cancro diventa performance collettiva per il mutamento sociale
Quando dieci anni fa aveva scoperto di avere un cancro al cervello Iaconesi, con grande e coraggiosa intuizione, aveva deciso di trasformare questa sciagura in un’opportunità da condividere. Aveva scritto il libro La Cura, trasformandolo poi in una performance collettiva globale che ha coinvolto un numero impressionante di persone in tutto il mondo.
È morto Salvatore Iaconesi, ma la Cura non si ferma
Iaconesi era un ingegnere robotico considerato uno dei più autorevoli esponenti della New Media Art in Italia e non solo. Un rappresentante dell’arte elettronica capace di parlare e di farsi capire dal mondo intero. Per l’artista livornese La Cura è una performance globale per riappropriarsi del proprio corpo e della propria identità creando una cura partecipativa open source per il cancro.
“La Cura non avrà mai fine – scriveva Iaconesi pochi mesi fa – perché è un modo di stare al mondo e di avere a che fare con la complessità e i confini: dei nostri corpi, delle identità, dell’ambiente. È la nostra basagliata, e implica l’essere disposti a fare una cosa che nella nostra società è praticamente inconcepibile: perdere il controllo. Del tuo corpo, di quei confini. Per la coesistenza. L’arte che pratico e condivido è l’open source estremo, il cui modello è vivo proprio perché incompleto, a bassa risoluzione: per questo, richiede l’attivazione, la presenza e la performance degli altri. Non un approccio paternalistico, ma ecologico. Anche quando si tratta del “mio corpo”, del “mio cancro”.