Linguaggio inclusivo di genere, Senato non lo osserverà. L’Aula, infatti, ha respinto l’emendamento a prima firma Alessandra Maiorino, senatrice del M5s, che prevedeva l’introduzione del linguaggio inclusivo in tutte le comunicazioni di Palazzo Madama. La proposta ha ottenuto nell’aula di Palazzo Madama 152 voti favorevoli, 60 contrari e 16 astenuti, ma non è stata raggiunta la maggioranza assoluta richiesta per approvare l’emendamento.
Linguaggio inclusivo di genere, Senato non lo osserverà
Sul testo dell’emendamento si legge:
“Il Consiglio di presidenza stabilisce i criteri generali affinché nella comunicazione istituzionale e nell’attività dell’amministrazione sia assicurato il rispetto della distinzione di genere nel linguaggio attraverso l’adozione di formule e terminologie che prevedano la presenza di ambedue i generi attraverso le relative distinzioni morfologiche, ovvero evitando l’utilizzo di un unico genere nell’identificazione di funzioni e ruoli, nel rispetto del principio della parità tra uomini e donne”.
Inoltre , la norma specificava che spetta alla Giunta per il regolamento formulare proposte per l’adeguamento del testo.
Linguaggio inclusivo Senato, Valente (Pd): “Gravissimo non osservarlo”
A insorgere per l’esito del voto è il Partito Democratico.
“Respinto con voto segreto l’emendamento per introdurre nel Regolamento del Senato la parità di genere nel linguaggio ufficiale. Se questo è l’anticipo del nuovo Parlamento, abbiamo un motivo in più per lottare con forza. La nostra Italia crede nell’eguaglianza“,
scrive sui social la senatrice Monica Cirnnà, responsabile Diritti del Pd.
“Ciò che è avvenuto oggi al Senato è gravissimo. Fratelli d’Italia con la complicità di tutta la destra ha manifestato cosa pensa del ruolo delle donne nella società, chiedendo il voto segreto sull’emendamento che avrebbe consentito di utilizzare la differenza di genere nel linguaggio ufficiale di un’istituzione importante come Palazzo Madama. I nodi vengono al pettine”,
ribadisce la senatrice del Pd Valeria Valente,
presidente della commissione Femminicidio.
“Il linguaggio è un fattore fondamentale di parità. Verbalizzare la differenza vuol dire riconoscerla, negarla vuol dire chiedere l’omologazione. Il ruolo non è neutro, è maschile. Impedire alle donne di essere riconosciute nel ruolo che svolgono significa dare per scontato che quel ruolo sia appannaggio maschile. Il tema non si è mai posto per maestra o infermiera, chiediamoci perché si pone per parlamentare o presidente. Negare questo passo di civiltà e di progresso a una delle più importanti istituzioni del Paese racconta molto dei rischi che una cultura reazionaria può innescare”,
aggiunge Valente.