Selinunte. Risultati fondamentali per ricostruire l’origine di Selinunte, sub-colonia di Megara Hyblea, vengono dall’ultima campagna di scavi condotta nella città della costa sud-occidentale siciliana: protagoniste sono le missioni internazionali dell’Institute of Fine Arts della New York University e dell’Università degli Studi di Milano, con la squadra dell’Istituto Archeologico Germanico.
Ripercorriamo insieme le origini della città greca e scopriamo le novità giunte dal sito archeologico.
Selinunte: le origini
Selinunte nasce dall’azione dei coloni di Megara Hyblea, città che a sua volta prende il nome dalla madrepatria Megara o Megara Nisea. A parlare delle origini della città sono due storici, Tucidide e Diodoro, che collocano la fondazione della città in due date differenti.
Tucidide, infatti, nelle sue Storie (6, 4, 2), dice che gli abitanti di Megara Hyblea inviarono Pammillo a Selinunte, cento anni dopo dalla fondazione della loro città (che si collocherebbe nel 727 a.C.): pare accorto prendere con beneficio d’inventario questa datazione, poiché cento è un numero “tondo”. Diodoro, invece, parlando della distruzione della città, riporta la notizia secondo la quale Selinunte fu assediata e distrutta dai Cartaginesi duecentoquarantadue anni dopo la sua fondazione: questo porterebbe la data di fondazione della colonia nel 650 a.C., contro la datazione più bassa fornita da Tucidide, ovvero il 627 a.C..
Alcuni studiosi hanno fatto fronte alle differenze ipotizzando due fasi insediative per la città, processo non infrequente nell’esperienza coloniale greca. Basti pensare alla storia di Zancle.
Le scoperte: l’acropoli
Conoscere le circostanze e la datazione della nascita dell’antica Selinus è essenziale per comprendere la portata delle scoperte rinvenute dalle missioni archeologiche. Lo scopo di queste ultime, infatti, era volto a fornire una datazione esatta dei templi A e O dell’acropoli, considerati gemelli. Al termine delle analisi, si è rinvenuto che A è antecedente ad O e che la costruzione di O è stata interrotta per uno smottamento del terreno. Ma sono ancor più grandi le notizie che giungono dal tempio A: sotto le sue fondazioni è stata rinvenuta una faglia d’acqua che conferma l’ipotesi che i primi coloni greci si siano insediati proprio in questa porzione meridionale dell’Acropoli.
Siamo nel primo insediamento del centro.
Tuttavia, le scoperte nell’acropoli non finiscono qui, perché altri scavi sono stati condotti in profondità intorno al tempio R, costruito nel VI sec. a.C. e probabilmente riedificato dopo la distruzione della città ad opera dei Cartaginesi: sono stati rinvenuti i resti di un recinto rituale risalente al 610 a C., poco successivo, dunque, alla data di fondazione proposta da Tucidide. Nello stesso luogo, dentro al tempio R, è stata rinvenuta la metà di uno stampo, che non risulta nuovo agli occhi degli archeologi. La prima parte, infatti, era stata trovata dieci anni fa e la collocazione particolare del resto fa pensare che lo stampo fosse stato utilizzato per un oggetto che non doveva essere in alcun modo replicato. Dalla forma, comunque, sembra trattarsi di un bastone o uno scettro: probabilmente, era un oggetto sacro o rituale in bronzo o in un altro metallo.
Dal tempio R, derivano anche altri due oggetti, che saranno presto esposti nell’antiquarium della città: si tratta di una sirena in avorio, la cui ricostruzione si è conclusa, e di un amuleto in forma di falco, immagine del dio del cielo Horo realizzata in blu egizio, databile al VII secolo a. C.
Marconi, a capo della missione, descrive in questo modo l’amuleto egizio:
“È l’immagine del dio Horus, antica divinità del cielo e del sole egizio ed è uno dei più importanti oggetti di produzione egizia scoperti in Sicilia e dà l’idea della ricchezza delle dediche alla dea del tempio R”.
Un’agorà trapezoidale?
Un intervento sulla vegetazione, studiato dall’Istituto Archeologico Germanico, ha permesso di riportare alla luce i confini di un immenso spazio nel cuore pulsante della città: si tratta di una piazza di 33mila metri quadrati, distribuiti in una forma trapezoidale, che rendono misterioso il fine stesso del luogo, al cui centro si innalzava la tomba dell’ecista, Pammillo, un heròon. Attorno allo stesso, nonostante i sondaggi del terreno, non sono state rinvenute strutture di epoca classica, ma soltanto piccole costruzioni posteriori, verosimilmente di periodo punico.
Sicuramente, si tratta di uno spazio “che dà l’idea della magnificenza di questa città e della sua straordinaria essenza”, come commenta l’assessore alla cultura Alberto Samonà.
Ad ogni modo, il mistero sembra essere ancora fitto: lo dice anche Felice Crescente, il direttore del parco archeologico di Selinunte e cave di Cusa:
“Un mistero che si dovrà scoprire e che mostra come ancora questo sito abbia tanto da raccontare. Oggi apriamo al pubblico un nuovo percorso che conduce all’agorà, appunto, e al panorama che essa regala grazie a un lungo lavoro di scavi, studi e diserbo di questa zona”.
Il passato sussurra sotto ai passi del presente: sta agli uomini riscoprire la sua voce morbida e lontana, sepolta sotto i cumuli del tempo impietoso, ma mai del tutto divorata dall’oblio vorace.
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