Il senso del libro di Alessandro Capriccioli “Tre metri quadri. Quattro anni di visite in carcere” (People, 2022, con prefazione di Manconi e Fortuna) viene appalesato nitidamente in uno degli ultimi capitoli, non a caso intitolato “Aria”: far conoscere a chi sta fuori come si vive lì dentro, dentro il carcere.

Tre metri quadri. Quattro anni di visite in carcere

Alessandro Capriccioli è un membro del consiglio regionale del Lazio e nell’esercizio dei suoi poteri ispettivi ha visitato gli istituti di detenzione presenti sul territorio regionale. Con questo libro racconta gli anni di lavoro impiegati a garanzia dei diritti dei detenuti: non si tratta di una relazione da presentare all’assemblea legislativa di appartenenza, ma di una sorta di diario che consente al lettore di scoprire ciò che di norma è celato, recluso, chiuso dietro delle porte. Ma come scrive lo stesso Capriccioli: «Le porte sono fatte anche per essere aperte, oltre che per essere chiuse».
Il titolo del volume fa evidentemente riferimento alla nota sentenza “Torreggiani” della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha stabilito appunto in tre metri quadri lo spazio minimo (di “sopravvivenza”, verrebbe da dire), che dev’essere garantito: sotto questa soglia la detenzione diviene un trattamento inumano e degradante. Eppure l’Autore scrive: «Tre metri quadrati: provate a restarci per una mezz’ora, non per dieci o vent’anni, e poi riparliamone».

In questo viaggio si scopre che in carcere non ci sono solo efferati criminali, ma anche tanti “poveri diavoli” (diremmo noi che viviamo fuori), persone malate, persone con disturbi psichiatrici, anziani, analfabeti, bambini innocenti, anche piccoli, che sono costretti “dietro le sbarre” per stare vicino alle proprie madri, che per i motivi più diversi non hanno potuto beneficiare della detenzione domiciliare. Soprattutto ci sono anche i ragazzi minorenni, giovani che hanno «tutta la vita davanti» per comprendere i propri errori, per cambiare rotta; ragazzi e ragazze per i quali la detenzione dovrebbe costituire un’occasione di riscatto per cominciare una nuova vita o, meglio, per riprendere in mano la propria, per essere sul serio “rieducati” a correttamente partecipare al consesso sociale, secondo quanto, né più né meno, prescrive la Costituzione della Repubblica.
Capriccioli ha incontrato anche le «irriducibili», cinque signore, brigatiste rosse, che sono detenute dalla metà degli anni Ottanta e che non hanno mai richiesto alcun beneficio previsto dalla legge, perché hanno deciso di non dialogare con lo Stato che non riconoscevano e che non riconoscono, nemmeno per ottenere un trattamento migliore.

Ci sono poi detenuti che debbono essere «protetti»: fra questi, emblematico è il caso degli autori di violenza sessuale sulle donne o sui bambini, una categoria «che suscita disprezzo e aggressività in ragione di un “codice d’onore” tuttora in vigore tra la popolazione carceraria». Capriccioli scrive che «fa un certo effetto» incontrare queste persone condannate per reati così odiosi; ma il punto è che «il garantismo, che in ultima analisi significa recupero e quindi sicurezza, non va necessariamente a braccetto con l’empatia».

Leggete questo libro: comprenderete che i problemi di chi sta dentro, sono problemi di chi sta fuori.

Federico Girelli
Professore di Diritto Costituzionale
Università Niccolò Cusano di Roma