Ad Arezzo i medici asportano un rene sano ad una donna di 47 anni e ora l’Asl Toscana sud est è stata condannata a un risarcimento di 100mila euro.
L’Asl Toscana sud est è stata condannata in sede civile al risarcimento dei danni nei confronti di una donna di 47 anni di Arezzo alla quale negli anni scorsi è stato asportato un rene sano. L’azienda sanitaria dovrà pagare a titolo di ristoro del danno 100mila euro, oltre che le spese legali.
Nelle scorse ore è giunta a conclusione la vicenda giudiziaria nata quando la donna entrò in sala operatoria dopo che da una tac emerse una macchia in un rene. La donna lamentava dolore, ma aveva anche raccontato che nei giorni precedenti aveva avuto un brutta caduta dalla bicicletta.
Dalla tac, arrivò l’individuazione del problema, si sospettava infatti, una lesione ad alto grado di malignità nel rene. Così, benché le sue condizioni pare fossero migliorate nei giorni successivi, ci fu la trafila della pre-ospedalizzazione, quindi il ricovero e poi la sala operatoria. Tutto ciò avvenne nell’Agosto di quattro anni fa quando la paziente venne ricoverata al San Donato e andò sotto i ferri.
I medici, durante l’operazione le asportarono l’organo, un intervento invasivo e sostenuto con l’immaginabile stato d’animo di chi sa di dover rimuovere una parte di sé per scacciare il male che altrimenti minaccia l’organismo.
Ma l’esame istologico eseguito sul rene asportato, evidenziò successivamente ben altro rispetto a quanto diagnosticato. Il rene infatti, risultava sano, non c’era traccia di nessun carcinoma ad aggredirlo. Molto scossa e provata da quanto accaduto, la donna presentò querela assistita dall’avvocato Carlo Scartoni, ritenendo di aver subito un grave danno alla sua persona.
La sentenza sulla vicenda del rene sano asportato ad Arezzo
Dopo un lungo iter è arrivata la sentenza della causa civile contro l’Azienda sanitaria, che nonostante un percorso complicato, ha avuto la sua definizione con il risarcimento da parte dell’Asl per il danno provocato alla signora.
Anche se, rispetto alla cifra inizialmente definita, 140 mila euro, con il quarto giudice che si è occupato della questione, si è scesi un bel po’. E la donna ora attende i tempi tecnici per la riscossione.
Quanto al processo penale, il giudice Giulia Soldini, in linea con la richiesta del Pubblico Ministero, Elisabetta Iannelli, ha archiviato il caso. Gli indagati, difesi dall’avvocato Luca Fanfani, erano due, gli urologi che seguirono ed operarono la paziente.
Ai dottori, iscritti nel fascicolo per ipotesi di lesioni colpose, in un primo momento si contestava una condotta negligente per non aver disposto ulteriori accertamenti clinici prima dell’asportazione del rene. Che il quadro diagnostico e conoscitivo fosse “insufficiente”, ed “erano necessari ulteriori esami”, lo hanno riconosciuto tutti. Ma il Giudice dell’Udienza Preliminare, esaminato il caso, sottolinea che, mentre in sede civile questo può essere sufficiente per una condanna, nel penale occorre che vi sia un “nesso diretto” e vale il principio del “ragionevole dubbio”.
Insomma, bisogna essere sicuri, prima di condannare, nel caso specifico i medici che operarono a fronte di una diagnosi errata, da parte del radiologo che però non è mai stato indagato. Se anche avessero disposto lo svolgimento di ulteriori approfondimenti diagnostici prima dell’intervento, sarebbe comunque rimasto un margine di dubbio sulla natura maligna o benigna della formazione, che avrebbe comunque imposto in via prudenziale ad operare.
I medici, non avrebbero quindi, potuto ottenere elementi certi al cento per cento per capire la malignità o non malignità del problema. E durante l’operazione non vi erano evidenze tali per una immediata sospensione.
L’avvocato Scartoni, da parte sua, aveva insistito affermando che a fronte di un quadro neoplastico inesistente e in un contesto di non urgenza, degli esami endoscopici avrebbero scongiurato il grave danno alla paziente, in quella occasione, dunque, sarebbe bastato un intervento di contenimento e non di asportazione.
Il legale sottolinea che vi furono, come affermato anche da un oncologo nel processo, violazioni alle linee guida, aspetto sufficiente ad integrare il reato di lesioni colpose. Ma il Giudice dell’Udienza Preliminare ha deciso diversamente ed ha archiviato le posizioni dei medici.