Per Giorgia Meloni la crisi idrica che oggi viviamo è conseguenza di inadempienze ben precise, figlie di interventi non fatti e che sicuramente avrebbero reso la situazione di oggi un po’ meno drammatica.
La presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, in un intervento al Corriere della Sera, punta il dito contro il governo Draghi per la crisi idrica che si sta verificando in queste settimane in tutto il territorio nazionale. Nonostante la dichiarazione dello stato d’emergenza per la siccità in Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Veneto e Piemonte, l’esecutivo secondo la Meloni avrebbe dovuto agire mesi fa.
A Marzo infatti, la stessa Commissione Ue aveva pubblicato un documento scientifico, dal titolo “Siccità nel Nord Italia”, che dava già ampiamente conto ad una situazione allarmante.
Nel testo si specificava chiaramente che la temperatura invernale più calda del normale di quest’anno ha contribuito allo scarso accumulo di neve e che queste condizioni causano preoccupazioni per il contributo dello scioglimento della neve agli scarichi dei fiumi in tarda primavera, aumentando così, la probabilità di siccità idrologica nei mesi più caldi.
Il testo dice esattamente:
“Il deficit di pioggia e neve durante il passato inverno (rispettivamente -60% e -80% rispetto alla media stagionale) sta devastando le principali aree rurali del Nord Italia, con i grandi invasi di acqua riempiti a livelli minimi e ben al di sotto della loro capacità”.
Così, Giorgia Meloni, incolpa il governo attuale ma anche il precedente, per la crisi idrica che sta colpendo da mesi il nostro territorio. “La mancanza di interventi è proprio alla base della crisi idrica che sta mettendo in ginocchio le produzioni industriali e agricole e fra poco anche il semplice uso domestico dell’acqua”, ha continuato la Meloni.
Crisi idrica: Giorgia Meloni contro gli sprechi e la necessità di puntare su nuove tecnologie
La distribuzione italiana dell’acqua ha un tasso di perdita di circa il 40 per cento, sia per l’uso potabile che per quello destinato all’irrigazione. È fondamentale, quindi, che nelle prossime settimane il governo passi dalle parole ai fatti per sbloccare rapidamente le risorse economiche.
Rispetto ai 6,5 miliardi di euro di interventi stanziati per il settore idrico tra Pnrr e fondi per le politiche di coesione risultano impegnati, con bandi di gara già affidati, solo 275 milioni di euro, di questi, appena 30 milioni sono stati già spesi, con il rischio che buona parte delle risorse previste vengano disimpegnate tra il 2022 e il 2023.
La Meloni, nel suo intervento, continua dicendo che occorre attuare urgentemente delle procedure istruttorie e approvative per migliorare la rete di distribuzione, attraverso un “piano invasi” che si sviluppi a livello territoriale, così come occorre investire sull’evoluzione tecnologica del doppio invaso e del pompaggio idroelettrico in modo da ottimizzare l’uso della risorsa idrica per produrre energia.
Ma c’è anche un’altra tecnologia che ha fatto passi da gigante negli ultimi anni e che dovrebbe essere maggiormente sviluppata in Italia, si tratta della desalinizzazione del mare che può servire anche per produrre acqua potabile.
Come stiamo vedendo con i nostri occhi il riscaldamento globale, che sta sempre di più avanzando, insieme alle caratteristiche morfologiche della nostra penisola ci impongono di puntare molto di più su questa nuova tecnologia.
Secondo la Meloni però, il governo purtroppo sembra di tutt’altro avviso. Nella cosiddetta “legge salva mare”, ha persino posto una serie di ostacoli burocratici che rendono ancora più lungo e tortuoso l’iter autorizzativo per i dissalatori. Un vero autogoal senza alcuna ragione ambientalista, nè logica di sviluppo.
Nelle parole della Meloni c’è spazio anche per le critiche agli ambientalisti integralisti che pensano di poter risolvere il problema della crisi idrica rinunciando alla doccia.
La soluzione, per il risparmio dell’acqua e la protezione dell’ambiente, sottolinea la Meloni, si può trovare molto più efficacemente con la produzione agricola, grazie alla cosiddetta agricoltura di precisione. Un’innovazione tecnologica preziosa che non può essere imposta per legge, né ridursi a un lusso per pochi, ma che deve essere favorita dallo Stato italiano e dall’Unione Europea, in modo da rendere sostenibili gli sforzi economici delle aziende agricole che scelgono di utilizzarle.