Tra l’Unione Europea e l’Ucraina c’è la Germania e la causa ha un nome ben specifico: Nord Stream 1. Alla vigilia dei lavori sul gasdotto tra Russia e Berlino, previsti dall’11 al 21 luglio, il Bundestag corre ai ripari pur cedendo alle richieste di Vladimir Putin e scatenando la contemporanea ira di Volodymyr Zelensky.

Nord Stream, tensioni sull’asse Germania-Ucraina a causa di una turbina

La turbina della discordia fa precipitare i rapporti tra Germania e Ucraina, sullo sfondo lo spettro della crisi energetica causato dai lavori di manutenzione del gasdotto Nord Stream. Ma facciamo il punto cominciando proprio dalla questione del gas. Alla base la decisione sofferta di Berlino di dover revocare alcune sanzioni contro Mosca per garantire gli approvvigionamenti dell’oro bianco già tagliati da Gazprom nelle scorse settimane.

Già da tempo la Germania riceve il 40% del gas tramite Nord Stream 1, primo campanello d’allarme di quello che tutta l’Unione Europea prevede essere un’interruzione totale del servizio da Gazprom. A questo punto il ministro dell’Economia tedesco Robert Habeck è corso ai ripari, constatando un livello assai scarso di stoccaggi sul territorio. Il tutto alla vigilia dei programmati lavori di manutenzione del gasdotto Nord Stream, che si protrarranno dall’11 al 21 luglio e, di fatto, azzereranno il flusso tra Russia e Germania.

Oltre a una serie di riflessioni interne, la Germania ha deciso di rimpatriare la turbina giudicata difettosa dalle fabbriche di Siemens in Canada, ottenendo il via libera da Ottawa, per poi rispedirle in Russia nella speranza di accorciare i tempi dello stop. L’invio del componente a Mosca, tuttavia, rappresenterebbe una violazione delle sanzioni. Il ministro dell’Ambiente canadese, Jonathan Wilkinson, ha già fatto sapere di aver attivato la procedura di consegna della turbina a Berlino, per scongiurare l’ipotesi di carenza di gas per gli 82 milioni di cittadini tedeschi in vista dell’inverno.

Tra i nodi anche il braccio di ferro sul maxi-piano economico da 9 miliardi

In realtà la questione della turbina è solo la goccia che sta per far traboccare il vaso. Già da diverso tempo, infatti, il presidente ucraino Zelensky manifesta una certa insofferenza verso gli atteggiamenti adottati dalla Germania, espressi tramite l’ambasciatore di Kiev a Berlino Andriy Melnik. L’interlocutore delle furenti telefonate è nientemeno che il presidente della RFT Steinmeier, già ai ferri corti dopo le dichiarazioni scottanti di quest’ultimo.

L’ultima decisione di Zelensky è stata quella di richiamare alla base gli ambasciatori ucraini in Ungheria, Norvegia, Repubblica Ceca e India, oltre alla Germania. Duplici le contestazioni rivolte al Bundestag: lentezza nella fornitura di armi e veto sul pacchetto economico di aiuti a Kiev. Sul primo punto si era espressa qualche giorno fa il ministro della Difesa tedesco, Christine Lambrecht, confermando una riduzione della qualità di armamenti forniti all’esercito ucraino.

Molto più spinoso il nodo economico e finanziario. L’Unione Europea ha già approvato un piano di 9 miliardi di aiuti per l’Ucraina, su cui però la Germania è molto scettica dal momento che sarebbe il Paese con la quota più alta sul piatto. I timori del Bundestag sembrano essere fondati sulla convinzione che l’Ucraina non riuscirà a ripagare l’eurobond da 900 milioni di euro con scadenza a settembre, andando dunque in default. Al momento Berlino ha acconsentito all’invio di un miliardo a sostegno di Kiev, un contentino che non basta a placare la tensione.