La carenza di CO2 rischia di compromettere seriamente la produzione di bevande gassate. Tra queste, ovviamente, rientra anche l’acqua frizzante. Oltre all’attuale carenza idrica, quindi, potremmo seriamente andare verso l’addio alle bibite? Uno scenario che, seppur in modo non eccessivamente allarmante, potrebbe presto diventare realtà.
La carenza di CO2 è un problema che deve preoccuparci?
Il primo ad esternare preoccupazione è stato Alberto Bertone, presidente ed amministratore delegato del noto marchio Sant’Anna, azienda che dalla provincia di Cuneo è diventata il primo produttore europeo con oltre 1,5 miliardi di bottiglie l’anno. Quello che, ad oggi, rappresenta un vero e proprio orgoglio italiano, però, rischia di subire una pesante battuta d’arresto.
“Ho dovuto bloccare la produzione di acqua gassata, ben il 30% della nostra organizzazione produttiva. L’anidride carbonica è diventata davvero irreperibile, per le aziende che ce la fornivano non conviene più produrla ed hanno fermato gli impianti“. Queste sono state le parole del patron del marchio. Frasi che lasciano spazio a poche interpretazioni, ma che suonano come campanelli d’allarme.
A risentirne, però, potrebbe essere anche tutta l’industria dolciaria, poiché viene usata l’anidride carbonica nella preparazione di molti prodotti alimentari. Le stesse aziende produttrici hanno confermato la carenza di CO2 e che l’attuale approvvigionamento è quasi totalmente dedicato al settore medico e sanitario. Una priorità ovviamente indiscutibile. Ma perchè la produzione di anidride carbonica è diventato un vero e proprio problema?
La CO2 è il principale sottoprodotto della produzione di fertilizzanti e la Russia, essendo uno dei maggiori produttori mondiali di fertilizzanti, è stata tradizionalmente anche una dei più grandi fornitori di anidride carbonica. Dopo le sanzioni imposte dall’UE, come conseguenza della guerra in Ucraina, secondo l’Associazione russa dei produttori, le esportazioni di questo prodotto sono diminuite del 40% dal mese di marzo. Ecco quindi che, oltre ai vari rincari delle fonti energetiche, si aggiunge anche la scarsità di prodotti di uso comune.