Uno dei temi caldi di questi giorni è il salario minimo, con diverse forze politiche che spingono affinché venga fatta una legge per introdurlo anche in Italia: tra i favorevoli c’è anche l’ex presidente Inps ed economista Paolo Boeri che, in un’intervista, parla bene anche del reddito di cittadinanza e della situazione di povertà in cui vertono moltissime famiglie italiane, con alcuni politici che non si adoperano per rafforzare gli strumenti di contrasto.
Boeri: “Il reddito di cittadinanza da correggere, non da eliminare”
Intervistato da La Stampa, l’economista Paolo Boeri parla positivamente del reddito di cittadinanza ma con qualche errore da correggere. Secondo l’ex presidente Inps è uno degli strumenti migliori per contrastare la povertà, ma ha bisogno di qualche aggiustamento:
“È uno strumento fondamentale per combattere la povertà, ma ci sono molti correttivi da fare al Reddito di cittadinanza perché è strutturato male e non aiuta sufficientemente i nuclei numerosi ed aiuta troppo le persone singole. Poi ci sono alcuni problemi legati al passaggio dall’Rdc al lavoro da mettere a punto. Però questo è uno strumento fondamentale che non si può smontare: soprattutto in questo momento abbiamo bisogno di una misura universale di contrasto della povertà”
Il problema della povertà affligge molte famiglie italiane e Boeri rimane stupito da quanti politici non cercano di trovare una soluzione:
“Molte famiglie si trovano in uno stato di povertà preoccupante, per cui trovo paradossale che in questo momento ci siano politici che fanno una campagna elettorale dove sostengono che bisogna ridurre il reddito di cittadinanza e altri strumenti di contrasto della povertà. È invece importante rafforzarli e tutelare di più le famiglie che hanno bisogno”
Serve il salario minimo
Un altro strumento – oltre al reddito di cittadinanza – per contrastare la povertà è il salario minimo, di cui Paolo Boeri è un grande sostenitore. L’ex presidente Inps rimane sorpreso dal fatto che molti sindacati siano contrari a quest’idea, secondo lui invece strumento per ridurre le disparità salariali. Molti avevano strizzato l’occhio alla soluzione della Spagna, dove hanno ridotto i contratti precari ma non è una strada percorribile dal nostro Paese:
“È davvero sorprendente che tra i sindacati ci sia ancora chi si oppone a questa idea. Il vero problema oggi in Italia è che c’è una quota di lavoratori sempre più importante che sfugge alle maglie della contrattazione collettiva. Per questo serve una legge che fissi un livello retributivo orario minimo al di sotto del quale non si può scendere in tutti i settori, per tutte le imprese, per tutti i lavoratori. Gli spagnoli partono da una situazione molto diversa dalla nostra perché sono arrivati ad avere sino ad un terzo dei lavoratori dipendenti che avevano dei contratti temporanei e quindi hanno dovuto fare degli interventi molto drastici per limitare le assunzioni con contratti a tempo determinato. Noi dobbiamo intervenire soprattutto sulla loro conversione in contratti a tempo indeterminato incentivando le imprese a fare questa trasformazione. Singolare che dopo il parere della Consulta nessuno abbia più usato parlare di come riformare i contratti a tempo indeterminato per offrire tutele crescenti in base all’anzianità aziendale”
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