Omicido Ciatti, il padre Luigi sentito come teste al processo, in corso davanti alla terza corte d’assise di Roma, per l’omicidio del figlio Niccolò, con parole strazianti racconta gli ultimi istanti di vita del ragazzo di 21 anni di Scandicci. Niccolò è stato pestato a morte la notte tra l’11 e il 12 agosto del 2017, in una discoteca di Lloret de Mar, in Spagna, dove si trovava in vacanza con un gruppo di amici. Imputato è il ceceno Rassoul Bissoultanov, già condannato a 15 anni in Spagna per omicidio volontario aggravato
“Quando siamo entrati nella sala della terapia intensiva dell’ospedale di Girona mio figlio era attaccato alle macchine e completamente immobile, sembrava dormisse. Lo abbiamo tenuto abbracciato dalla sera fino al giorno dopo. I medici ci dissero che non si poteva operare perché aveva avuto un’emorragia cerebrale gravissima. La nostra vita si è fermata lì insieme a quella di Niccolò“.
spiega Luigi Ciatti.
Omicidio Ciatti, il padre Luigi chiede giustizia
Lo scorso 22 giugno la Corte ha deciso che potrà andare avanti il processo in Italia, bocciando l’istanza della difesa di Bissoultanov che aveva chiesto di chiudere il procedimento italiano per il ‘ne bis in idem’, alla luce della sentenza di primo grado pronunciata dai giudici spagnoli, oggi acquisita agli atti assieme al video dell’aggressione all’interno della discoteca.
“Niccolò era un ragazzo normale, tranquillo, andava con gli amici in discoteca per divertirsi e mai per provocare. Ha avuto la sfortuna di trovare quei tre teppisti in una discoteca che non aveva un buttafuori all’interno. Mio figlio stava ballando e all’improvviso sono arrivati questi due ceceni, con mosse di lotta greco-romana e di Mma lo hanno preso da dietro, sollevato e sbattuto a terra. Quando Niccolò ha provato ad alzarsi, Bissoultanov gli ha sferrato quel calcio alla testa”.
Luigi Ciatti ricorda quel terribile giorno di agosto.
“Ero in montagna insieme con mia moglie. Sono stato svegliato dalla vibrazione del telefono. Un amico di Niccolò mi disse che mio figlio era in ospedale e che dovevamo partire immediatamente per la Spagna. Partiti in macchina abbiamo impiegato quasi 13 ore, a causa del traffico. All’arrivo la polizia ci spiegò quello che era successo. Poi abbiamo incontrato gli amici di Niccolò. La dottoressa chiedeva sempre ‘tra quanto arrivate?’, poi si è capito perché. Chiedo di avere un po’ di giustizia per mio figlio, la sua vita non può valere 15 anni”
conclude il papà dì Niccolò in riferimento alla sentenza spagnola che ha condannato Bissoultanov.