Anche il decano degli studiosi di diritto amministrativo, Sabino Cassese, ha storto il naso. Il nuovo ordinamento di Roma Capitale, ancora in discussione alla Camera, suscita al tempo stesso attrazione e perplessità. In pratica si riscrive l’ultimo comma dell’articolo 114, quello che nel 2000, al tempo della controversa riforma del Titolo V, aveva inserito la previsione costituzione di una legislazione ad hoc per la Capitale. In sostanza, con eleganti spiegazioni, si trasforma il Comune di Roma in un ibrido, metà Comune e metà Regione, assommando funzioni amministrative e (circoscritti) poteri legislativi. Si guarda al “modello Berlino”, l’unico che preveda in Europa e in tutto il mondo occidentale questo peculiare intreccio: l’assemblea comunale è anche assemblea regionale, dunque equiparata a un Land. Sta di fatto che la nostra Carta costituzionale, in origine (1948) contemplante tre soli livelli istituzionali (Stato, Regioni e Comuni), ora ne dovrebbe contemplare quattro (Stato, Regioni, Province o Città metropolitane, Roma Capitale).

Il problema è che la Città verrebbe a perdere, in questa logica, lo status di “Primo Comune d’Italia” per assumere un profilo che ancora non si riesce a definire in termini di razionalità (per l’ordinamento nel suo complesso) e convenienza (per i cittadini romani). Roma uscirebbe dunque dalla Regione Lazio e farebbe, se così si può dire, storia a sé. Non si sa neppure se il Sindaco rimarrebbe Sindaco o se acquisirebbe un’altra denominazione.

Cosa ne pensa Gualtieri? Intanto oggi in Campidoglio si è tenuto un seminario rigorosamente a porte chiuse per discutere la questione. Da una parte, come tutti i sindaci di Roma, l’attuale sindaco della capitale vede con qualche entusiasmo la ridefinizione dei poteri attribuiti alla Capitale, sperando che da ciò derivi, ovviamente, una maggiore dotazione di risorse finanziarie; dall’altra, però, non sfugge a lui, né ai più attenti compagni di partito, il fatto che Roma finirebbe in una bolla di solitudine istituzionale, perdendo funzione e credito nel mondo delle autonomie locali. “Bel colpo per un Sindaco che, come sanno i bene informati, aspira a diventare Presidente dell’Anci”, commenta un’autorevole fonte anonima, per altro vicina a Gualtieri.

In effetti, immaginare che il “Sindaco dei Sindaci d’Italia” possa diventare Gualtieri, ovvero l’uomo che dopo 152 anni di storia istituzionale e costituzionale incarnerebbe la fine del Municipio romano, perdendo con ciò la stigmate di Sindaco in senso proprio, rientra a pieno titolo nella più bizzarra delle prospettive. Insomma, se passasse la riforma Gualtieri potrebbe dire addio al sogno di diventare numero uno dell’Anci.