A quasi due anni di distanza dall’omicidio di Willy Monteiro Duarte, Marco Bianchi uno dei quattro uomini accusati di aver massacrato di botte il giovane a Colleferro nella notte del 6 settembre del 2020 scrive una lettera dal carcere diretta all’agenzia di stampa Adnkronos. Nella lettera, Bianchi ha precisato di come l’opinione pubblica sia stata fortemente influenzata dai racconti che i media hanno fatto di lui e suo fratello Gabriele, altro accusato. Nelle righe si legge anche una frase diretta a Francesco Belleggia che attualmente si trova agli arresti domiciliari: “Il colpevole non si è preso le proprie responsabilità. Ancora con il sangue sulle scarpe, se ne sta tranquillo in casa sua”.
Omicidio Willy, la lettera di Marco Bianchi
La lettera inizia con una presa di posizione precisa: “Sia io che Gabriele continueremo sempre, da uomini veri, a dire che non c’entriamo nulla con questo crimine. Non siamo degli psicopatici che negano davanti all’evidenza e prima o poi la verità uscirà fuori. C’è una grande differenza tra farsi la galera da colpevoli e farsela da innocenti. E quando tutto questo finirà, se ci sarà la possibilità di incontrarmi un giorno, rimarrete a bocca aperta, stupiti, capendo che non siamo le brutte persone descritte dai media: quel ragazzo non è morto per mano nostra. L’ho messo in chiaro in aula, davanti al giudice, guardando in faccia la povera madre di Willy”.
La parte rivolta alla mamma di Willy
Una grande parte di questa lettera inviata dal carcere all’Adnkronos da parte di Marco Bianchi è dedicata alla signora Lucia Monteiro, la mamma di Willy Monteiro Duarte: “Signora mia, ogni volta che ho la possibilità di guardarla, vedo il dolore e l’odio che può provare per chi le ha portato via suo figlio. È lo stesso sentimento che leggo negli occhi di mia madre, che è morta dentro e prova rancore per il vero colpevole, il bugiardo che ha rinchiuso i suoi figli in carcere al suo posto, per un crimine che non hanno commesso. Signora, io la guarderei come guardo mia madre. Se io e mio fratello fossimo gli artefici della morte di suo figlio, mai ci saremmo permessi di sostenere il suo sguardo come abbiamo fatto durante il processo, di guardarla come se guardassimo nostra madre. Non ci saremo mai permessi di negare le nostre responsabilità per tornare liberi: io, personalmente, mi sarei sentito sporco e infame. Signora mia, se fossimo noi i veri responsabili di tutto questo, le avrei dato subito la soddisfazione che stavamo pagando la giusta pena. Parlo per me, ma anche per mio fratello che è in carcere senza aver toccato Willy con un dito”.