A un mese dall’omicidio della giornalista palestinese Shireen Abu Akleh a Jenin, in Cisgiordania, sembrano sempre più evidenti le responsabilità dell’esercito israeliano nell’accaduto: lo conferma l’ultima inchiesta giornalistica condotta a riguardo, quella del New York Times.
Omicidio Abu Akleh, l’arma del delitto di origine americana indizio inequivocabile
Manca ancora la certezza, tuttavia sono sempre più evidenti gli indizi che portano a Israele come effettivo autore dell’omicidio della giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh, lo scorso 11 maggio. Anche il New York Times, infatti, ha pubblicato i risultati di un’inchiesta giornalistica durata oltre un mese e conferma che la responsabilità delle milizie israeliane è praticamente conclamata.
Tra le righe del report si legge che a sparare il colpo sarebbe stato un soldato d’élite, anche perché non erano presenti forze palestinesi armate nell’area di Jenin. Dal convoglio incriminato, compatibile con la posizione di un commando di Gerusalemme, sarebbero stati esplosi almeno 16 colpi, mentre Israele sostiene che il numero esatto sia pari a 5. Come detto, oltre alle responsabilità c’è da capire se l’azione sia stata premeditata oppure se sia stata accidentale. Mancano le prove, a cominciare dal giubbotto con la scritta “Press” solitamente identificativo della stampa.
Nessun provvedimento per gli scontri avvenuti durante il funerale
La versione del NYT si allinea a quella della CNN, peccato che manchi una commissione indipendente a causa del volere palestinese, timoroso che le prove verrebbero inquinate dalla controparte. Anche il proiettile fatale è ancora nelle mani delle forze palestinesi, di manifattura americana e dunque riconducibile direttamente all’esercito israeliano. Infine, ad accrescere ulteriormente l’ira di Abu Mazen è la decisione di non accusare gli ufficiali israeliani che hanno creato disordini durante i funerali della giornalista: qui il corteo si era presto trasformato in una guerriglia urbana rischiando di far cadere la bara. Per i vertici della polizia israeliana, che ha secretato gli atti dell’indagine interna, il comportamento degli agenti sarebbe stato in linea con il clima di violenza innescato dai manifestanti palestinesi.