L’embargo Ue al petrolio russo permette alla Russia stessa di guardare a Oriente e di diventare ufficialmente il principale importatore della Cina. Un affare da entrambe le parti, con Mosca che trova nuovi sbocchi per sostituire la clientela del Vecchio Continente e Pechino che riesce ad assicurarsi forniture a prezzi estremamente vantaggiosi.

La ritirata delle società europee favorisce il dialogo tra Russia e Cina sul petrolio

A partire da maggio la Russia ha superato l’Arabia Saudita affermandosi come principale fornitore di petrolio della Cina. Una percentuale che si aggira intorno al 55% e che consente a entrambi gli schieramenti di ottenere condizioni favorevoli rispetto allo status quo geopolitico. I dati sono resi noti dall’Amministrazione generale delle Dogane cinesi, secondo cui Pechino avrebbe acquistato 8,4 milioni di tonnellate da inizio anno, con un picco a maggio di 2 milioni (in crescita del 25% su aprile).

Almeno tre le direttrici che collegano i due Paesi: l’oleodotto siberiano verso Vladivostok, quello del Pacifico e quello via mare. I partner principali di Gazprom diventano così i colossi Sinopec e Zhenhua Oil, con la Cina che è riuscita a ottenere forti sconti grazie alla conclusione dei rapporti con le società occidentali. Già al Forum Economico di San Pietroburgo Vladimir Putin aveva sottolineato come le relazioni tra i due Paesi si sarebbero rafforzate dal punto di vista commerciale, nonostante qualche dissidio passato sulle posizioni cinesi rispetto la guerra in Ucraina.

Nonostante sia stata spodestata dal trono, l’Arabia Saudita può comunque consolarsi con dati in aumento nello scambio petrolifero con il Dragone: +9%. Anche l’Iran, osservato speciale degli Stati Uniti, continua a garantire circa il 7% del fabbisogno cinese, il più alto al mondo. Una fame che continua a crescere, mese su mese e anno su anno. Il prezzo del greggio torna dunque a salire, assestandosi tra i 109 e i 113 dollari al barile.