Il destino di Julian Assange era già scritto ma da oggi è diventato ufficiale: il ministro degli Interni britannico, Priti Patel, ha confermato l’estrazione negli Stati Uniti del fondatore di WikiLeaks.
BREAKING: UK Home Secretary approves extradition of WikiLeaks publisher Julian Assange to the US where he would face a 175 year sentence – A dark day for Press freedom and for British democracy
— WikiLeaks (@wikileaks) June 17, 2022
The decision will be appealedhttps://t.co/m1bX8STSr8 pic.twitter.com/5nWlxnWqO7
Dopo l’estradizione Julian Assange rischia 175 anni di carcere
Nessuna sorpresa, l’Inghilterra ha certificato l’estradizione di Julian Assange negli Stati Uniti. Il fondatore di Wikileaks, rimasto in un carcere di massima sicurezza alle porte di Londra, attendeva solo l’ultimo passaggio del Parlamento britannico, con il ministro degli Interni Patel che ha di fatto ufficializzato l’operazione. A optare per il fatidico sì sono state le garanzie espresse da Washington circa la tutela dei diritti umani, a cominciare dalla sottomissione a un processo equo.
Per l’attivista australiano si prospetta un futuro assai difficile, dal momento che negli Usa rischia una condanna complessiva a 175 anni di prigione. Il motivo? Aver divulgato documenti segreti della Difesa americana sulle missioni speciali in Iraq e in Afghanistan. In ogni caso la giustizia gli consente di presentare un appello entro fine giugno, e i legali di Assange fanno trapelare che sarà questa la strada da perseguire.
Le dichiarazioni ufficiali degli interessati
Tramite i profili ufficiali si apprende il commento alla vicenda di Wikileaks:
“Un giorno buio per la libertà di stampa e per la democrazia britannica. Chiunque in questo Paese tenga alla libertà di espressione dovrebbe vergognarsi profondamente del fatto che il ministro dell’Interno ha approvato l’estradizione di Julian Assange negli Usa, il Paese che ha complottato per assassinarlo.”
Anche la moglie Stella Moris, avvocato sudafricano che Assange ha conosciuto durante il suo esilio in Ecuador, si è detta triste della sentenza:
“Oggi non è la fine della lotta ma solo l’inizio di una nuova battaglia legale. Julian non ha fatto nulla di male, non ha commesso alcun crimine e non è un criminale. È un giornalista e un editore, e viene punito per aver fatto il suo lavoro. Non fatevi ingannare, questo è sempre stato un caso politico, non legale. Julian ha pubblicato prove sui crimini di guerra, le torture, la corruzione di funzionari stranieri commessi dal Paese che sta cercando di farselo consegnare”.
Dura condanna anche da Amnesty International:
“Consentire che Julian Assange venga estradato negli Stati Uniti significherebbe esporlo a un grande rischio e mandare un messaggio agghiacciante ai giornalisti di tutto il mondo”.
Chi è Julian Assange
Rispetto a quanto sopra descritto, il passato di Assange sembra non nascondere troppi scheletri nell’armadio. Nato nel 1971, Julian è definito come giornalista, hacker e programmatore. Dal 2007 è tra i promotori di Wikileaks che – per contro – etichetta il suo fondatore come “un figlio, un padre, un fratello. Ha vinto dozzine di premi per il giornalismo. È stato nominato per il premio Nobel per la pace ogni anno dal 2010. Potenti attori, tra cui la CIA, sono impegnati in uno sforzo sofisticato per disumanizzarlo, delegittimarlo e imprigionarlo.”
Fin qui tutto bene, se non fosse che nel 2010 è stato accusato di stupro da una donna in quel di Stoccolma (accuse archiviate sette anni più tardi). Nel 2017 scoppia il Russia-gate e – secondo l’intelligence americana – Assange ha collaborato con il Cremlino per influenzare il risultato delle presidenziali a stelle e strisce del 13 novembre 2017. A maggio 2019 Assange viene incriminato negli Stati Uniti per 17 capi d’accusa. Fino alla storia dei giorni d’oggi.