La famiglia di Fabio Ridolfi, attraverso l’associazione Coscione, ha comunicato la morte del proprio caro. Il 46enne di Fermignano (Pesaro-Urbino), che da anni chiedeva l’eutanasia, aveva da poche ore avviato il percorso con una sedazione profonda sospendendo contestualmente nutrizione e idratazione artificiale.
“Fabio Ridolfi è morto senza soffrire, dopo ore di sedazione e non immediatamente come avrebbe voluto” dichiarano Filomena Gallo e Marco Cappato dell’Associazione Luca Coscioni.
La famiglia annuncia lo svolgimento dei funerali in forma privata e chiede alla stampa il rispetto della privacy
Fabio Ridolfi: ‘ho scelto il suicido assistito con la sedazione’
Fabio Ridolfi, un uomo di 46 anni di Fermignano (Pesaro Urbino), dopo 18 anni di immobilità a causa di una patologia irreversibile, ha deciso con un messaggio reso pubblico di morire tramite la sedazione profonda e continua, una pratica prevista dalla legge sul testamento biologico del 2017. In genere la morte non è mai una scelta ma in questo caso sì: Fabio Ridolfi ha deciso di morire. Il 46enne di Fermignano (Pesaro Urbino) è inchiodato a letto da 18 anni a causa di una tetraparesi e può comunicare solo con un puntatore oculare.
Nato il 5 marzo del 1976 a Chieri, in provincia di Torino, Fabio nel 2004 , poco prima di compiere 28 anni, durante una cena ebbe un malore improvviso che gli provocò dapprima una perdita immediata dell’equilibrio, poi l’intorpidimento di tutto il lato sinistro del corpo. Tetraparesi da rottura dell’arteria basilare: è questa la malattia irreversibile che gli è stata diagnosticata.
In base alla sentenza del 2019 della Corte Costituzionale sul caso di Fabiano Antoniani, più noto come dj Fabo, Fabio Ridolfi aveva chiesto all’Azienda sanitaria delle Marche di poter accedere al suicidio assistito e nonostante sia stato stabilito che avesse i requisiti per accederci, non è mai stato indicato un parere sul farmaco e sulle relative modalità della sua somministrazione.
Associazione Luca Coscioni
Lo scorso 10 gennaio Ridolfi, con il sostegno dell’associazione Luca Coscioni, aveva inviato una richiesta all’Azienda sanitaria Unica Regionale delle Marche chiedendo una verifica delle proprie condizioni per poter accedere al suicidio medicalmente assistito nel rispetto della sentenza della Corte costituzionale secondo la quale chi aiuta una persona a suicidarsi non è punibile a patto che siano rispettate alcune condizioni: che il paziente sia «tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale», che sia «affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili» e che sia «pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli».
Nonostante l’8 aprile il Comitato Etico, l’organismo indipendente formato da medici e psicologi che ha la responsabilità di garantire la tutela dei diritti dei pazienti, ha comunicato a Rodolfi che sarebbe rientrato nei parametri stabiliti dalla Consulta per potere accedere al suicidio assistito, non c’era comunicazione sulle modalità di attuazione e sul farmaco da usare affinché il diritto di Ridolfi potessero essere rispettati.
La decisione di Fabio Ridolfi
L’ulteriore battaglia legale da affrontare, ha fatto perdere le speranze a Ridolfi che ha deciso di accedere alla sedazione profonda e continua: “Da due mesi la mia sofferenza è stata riconosciuta come insopportabile. Ho tutte le condizioni per essere aiutato a morire. Ma lo Stato mi ignora. A questo punto scelgo la sedazione profonda e continua anche se prolunga lo strazio per chi mi vuole bene”, ha dichiarato.
Questa pratica prevede che la persona coinvolta revochi il consenso ai trattamenti di idratazione e nutrizione artificiali. Dopodiché si procede con la sedazione e vengono staccati i trattamenti di sostegno vitale, cosa consentita in Italia dalla legge 219 del 2017. Tendenzialmente questa procedura avviene a casa o in un hospice, con l’assistenza di un medico: nel caso di Ridolfi, dicono dall’associazione Coscioni, si sta ancora decidendo come procedere.
La legge
L’autorizzazione concessa dall’Azienda sanitaria marchigiana è possibile grazie a una sentenza della Corte Costituzionale che nel settembre del 2019 si era espressa sul caso di Marco Cappato, il politico e attivista dell’associazione Luca Coscioni che era stato accusato – in base all’articolo 580 del codice penale – di avere aiutato a suicidarsi Fabiano Antoniani, più noto come dj Fabo, rimasto paralizzato e cieco dopo un incidente.
La Corte aveva stabilito che, a determinate condizioni, l’assistenza al suicidio non fosse punibile; e che la pratica di assistenza al suicidio non è equiparabile all’istigazione al suicidio (equiparazione che fa invece l’articolo 580 del codice penale). La sentenza non interveniva direttamente sul diritto al suicidio assistito, quindi, ma su chi sceglie di aiutare coloro che hanno deciso di morire. Indirettamente, però, la sentenza ammetteva il suicidio assistito in condizioni molto circoscritte, e chiamava in causa su questo tema il Servizio sanitario nazionale. Spetta quindi alle strutture sanitarie pubbliche verificare le condizioni in cui è ammesso il suicidio assistito.
Va precisato che il suicidio assistito non equivale all’eutanasia: nel suicidio assistito, infatti, il farmaco necessario a uccidersi viene assunto in modo autonomo dalla persona malata. Nell’eutanasia, invece, il medico ha un ruolo fondamentale: nell’eutanasia attiva somministra il farmaco, in quella passiva sospende le cure o spegne i macchinari che tengono in vita la persona. In Italia non ci sono leggi che regolamentino l’eutanasia attiva e il suicidio assistito, ma solo la sentenza della Corte Costituzionale sul caso Cappato. L’eutanasia passiva, invece, dal 2017 è regolata dalla legge sul testamento biologico.
L’eutanasia attiva era alla base della proposta di un referendum che è stato però giudicato inammissibile dalla Corte Costituzionale. Proponeva di abrogare una parte dell’articolo 579 del codice penale, quello che punisce l’omicidio del consenziente: in questo modo sarebbe stata permessa l’eutanasia attiva, che avviene quando il medico somministra il farmaco necessario a morire, e che è attualmente illegale in Italia.