Una signora, adagiata da quattro ore consecutive sotto il Sole, chiude gli occhi e cerca di dormire. Il suo cappello è colmo di sudore, lei gronda ma dorme beata. Quando si sveglia sono circa le 19 e il Circo Massimo sta aspettando Vasco Rossi. Penso sia al ventesimo concerto di Vasco della sua vita, ma vado a intuito. Le danno una mano ad alzarsi, si toglie il cappello e si prepara. Nel frattempo un bambino con una maglietta blu finisce sulle spalle del papà. Come spesso accade, la goliardia pervade. Viene acclamato dalla folla all’urlo “bambino bambino”, come Checco Zalone nel film “Sole a catinelle”. Questo bambino piange, vuole scendere. Lo incrocio dopo un’ora, sempre sulle spalle di papà, mentre batte le mani e sorride. Non aveva mai sorriso prima.

Una mia amica, che tra le altre cose scrive – e pure bene – per questo sito, mi parla da giorni di questo “popolo del Kom”. “Il popolo del Kom non esiste in nessun’altra parte del mondo, come se fossimo dei piccoli soldatini e lui il Comandante”. Io ascolto e assorbo, cercando di capire. Ieri, per la prima volta, sono entrato in punta di piedi in questo popolo del Kom, diventando anch’io un soldatino di Vasco Rossi. Sembra strano anche a me, direbbe lui, ma ieri ho chiuso un piccolo tassello di vita. “Non voglio andar via senza mai visto dal vivo Vasco Rossi”. Ci sono riuscito.

Quando sono circa le 21:15 si accendono le luci qui sul palco, per parafrasare Venditti. La signora, che prima aveva il cappello fradicio, ora sorride e si muove sempre con quel sorriso stampato sulla bocca. Settantamila persone hanno atteso ore sotto il Sole per sentirlo cantare e lui comincia, senza smettere più. E allora ho una prima sensazione in corpo, mai provata in nessun concerto prima d’ora. Realizzo che non sta cantando Vasco Rossi. Fermi, prima che mi denuncino o che qualcuno faccia titoli click bait a caso. E’ una sensazione inspiegabile, che si può provare solo in quel preciso momento.

Vasco Rossi al Circo Massimo era lo specchio di un popolo

Vasco Rossi al Circo Massimo, per molti, è stato un rito collettivo, ma Vasco Rossi non ha mai cantato. Di concerti ne ho visti tanti e anche molti belli – dagli Iron Maiden a Ultimo, la musica mi piace tutta – ma non ho mai assistito a una cosa del genere. Solitamente, quando si è tra il pubblico, la distanza tra il cantante e la platea si sente. Si capisce che c’è qualcuno che sta cantando e un pubblico che lo sto ascoltando, ma ieri sera non è stato così. Da subito, dalla prima nota, ho capito che era un popolo a cantare. Al di fuori di ogni retorica, ho capito stando al concerto di Vasco il motivo del successo di Vasco.

Quando sei lì capisci di essere parte di un popolo. Come se fosse una gigantesca riunione di un condominio in cui tutti vanno d’amore e d’accordo, oppure una grigliata per mille persone in cui ci sono sia verdure sia carne, per rendere felici tutti. Vasco è là e va bene, ma cantava con noi. Come se la canzone fosse un patrimonio umano e settantamila persone la cantassero all’unisono, senza Vasco davanti a tutti. Poi arrivano loro: “Sally”, “Albachiara”, “Vita Spericolata”. Tutti le cantano, tutti. Nessuno si ferma. Tutti la sanno a memoria. Pensate a settantamila persone che cantano la stessa canzone a tempo, a ritmo, allo stesso modo. Impareggiabile. Torno a casa con una catenina. Penso che non me la toglierò per un bel po’. Su questa catenina c’è scritto Vasco, tutto contenuto in un triangolo.

Quando finisce il concerto quel bambino che stava sulle spalle di papà si ritrova in un passeggino a dormire. Il suo è un sogno felice. Ancora non lo sa, ma quando sarà grande potrà raccontare che da piccolino batteva le mani durante un concerto di Vasco Rossi. Mentre mi accingo a uscire dal Circo Massimo mi accorgo che la signora che ho visto all’inizio è ancora seduta mentre tutti vanno via. Sul suo volto scorre solo un sorriso accennato, uno sguardo profondo e le pupille dilatate. Sul suo volto percepisco commozione trattenuta. Sorrido, mi giro, non la vedrò più. So, però, che lei era con me e lo sarà per sempre, nel nome del popolo di Vasco. Quel popolo che non ha età, confini e limiti. Liberi Liberi siamo Noi.