Uno dei filoni più battuti da chi ama i viaggi alternativi è il dark tourism (o black tourism): la ricerca di luoghi oscuri e inquietanti, spesso accompagnati da una leggenda nera.
Dark tourism: cos’è e come si pratica
Sin da tempi molto lontani, morte e tragedia hanno rappresentato motivo di attrazione per tanti viaggiatori. Basti pensare a quanti pellegrini si recavano a Roma per vedere i combattimenti tra gladiatori nel Colosseo. Oppure a coloro che nel Medioevo si spostavano per assistere a esecuzioni pubbliche.
Il dark tourism è una sintesi dell’incontro tra qualcosa di oggettivamente piacevole – il viaggio – e qualcosa di estremamente negativo – la morte. Si definisce, infatti, dark tourism, quella categoria di turismo mosso dal desiderio di “incontrare” in maniera simbolica la morte e il dolore, visitare luoghi di tragedia, disastro, terrore.
Quando si parla di questa singolare tipologia di turismo si fa riferimento a quei viaggi organizzati in luoghi in cui si sono verificati eventi drammatici o si sono consumate tragedie e crimini efferati. Città fantasma, scenari di sanguinolente battaglie e tanto altro ancora. Il dark tourism vive di luoghi al limite, taboo. Per viaggiatori a caccia di emozioni forti e storie da raccontare.
Auschwitz, Fukushima, Chernobyl ma anche Wuhan, sono tra le città all’estero più quotate negli ultimi tempi. In Italia Cogne, Avetrana e ultimamente anche il Mottarone. Dove due due giovani sono stati addirittura denunciati per aver sollevato il telo che copriva i resti del vano caduto causando la morte di 14 persone.
Una delle domande che è lecito porsi è questa: il dark tourism può essere considerato un turismo etico? L’intento che spinge a muoversi verso una determinata meta è di certo importante. Quello andrebbe approfondito è se il motivo principale per cui molte persone scelgono di affacciarsi al turismo macabro sia dettato dal desiderio di approfondire eventi tragici oppure solo l’influenza di una moda.
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