Boris Pahor è morto all’età di 108 anni. Scrittore e intellettuale di lingua slovena, Boris è stato uno delle voci più significative della tragedia della deportazione nei lager nazisti.

Boris Pahor, morto a 108 anni chi ha raccontato il lager

Nato a Trieste nel 1913 sotto l’impero asburgico, Boris Pahor, eccelso scrittore sloveno, ha narrato l’orrore dei lager e della deportazione durante l’occupazione tedesca.

Nelle prime ore di questa mattina, lunedì 30 maggio 2022, lo scrittore triestino è morto all’età di 108 anni. Una scomparsa importante in quanto ha testimoniato in prima persona le tragedie del Novecento, scrivendo una trentina di libri tradotti in decine di lingue.

E inoltre, la sua appartenenza a una minoranza linguistica, l’ha dovuta pagare anche dopo la guerra in veste di letterato poiché il valore delle sue opere, soprattutto in Italia, è stato riconosciuto con molto ritardo.

Il 13 luglio 2020 gli era stata riconosciuta la doppia onorificenza, italiana e slovena, in occasione dell’incontro tra i capi di Stato dei due Paesi per la restituzione alla minoranza slava del Narodni Dom, la sua Casa del popolo bruciata a Trieste dai fascisti cento anni prima.

La sua storia

Boris Pahor nasce a Trieste il 26 agosto 1913 da suddito dell’Impero austro-ungarico, ritrovandosi sotto la giurisdizione del Regno d’Italia. A La Lettura aveva raccontato che era sopravvissuto all’influenza spagnola e che subito dopo gli era stata sottratta la lingua madre perché il fascismo aveva chiuso le scuole slave e costretto i loro alunni a frequentare quelle italiane. Così inizia per Boris la vita all’insegna della doppiezza: fingersi italiano in pubblico e coltivare la lingua e la cultura d’origine di nascosto, assieme ad altri giovani come lui.

Nel 1944, con la deportazione in diversi lager, inizia il periodo più difficile della sua vita; ma essere un poliglotta (oltre a conoscere l’italiano e lo sloveno, Pahor conosceva il tedesco e un po’ di francese) gli salvò la vita in quanto venne addetto al compito d’infermiere ed evitò i lavori più pesanti.

In Italia, Boris Pahor, nonostante i molti onori che gli erano stati tributati, compresa la candidatura al Nobel, era rimasto un personaggio scomodo perché non aveva esitato a biasimare il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (che nel 2007 aveva condannato fermamente i crimini dei partigiani jugoslavi senza menzionare quelli compiuti in precedenza dall’Italia fascista sulle popolazioni slave). Nel 2010 invece aveva rifiutato un riconoscimento del comune di Trieste, perché nelle motivazioni si citavano le sofferenze da lui subite nei lager nazisti, ma non gli abusi cui aveva dovuto sottostare sotto il regime di Benito Mussolini.