Spesso capita di interpretare i pensieri di chi è morto secondo le proprie convenienze del momento.
Succede anche in questi giorni in cui si ricorda un eroe civile, il magistrato Giovanni Falcone, più amato oggi di quando faceva indagini per estirpare la mafia dalla società.
Venne criticato e avversato anche da suoi colleghi e da esponenti politici allora, e ancora oggi, in auge.
Lo ha ricordato anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante la cerimonia per il trentennale della strage di Capaci:
“Le visioni d’avanguardia, lucidamente profetiche, di Falcone non furono sempre comprese; anzi in taluni casi vennero osteggiate anche da atteggiamenti diffusi nella stessa magistratura, che col tempo, superando errori, ha saputo farne patrimonio comune e valorizzarle”.
“Il terzo livello” spiegato dal magistrato in quella drammatica audizione al Csm nel ’91
Uno dei tanti pensieri di Falcone, maldestramente interpretati, si riferisce al cosiddetto terzo livello, quel patto occulto tra anti stato e poteri indecifrabili di cui la mafia sarebbe stato strumento. Alcuni, ancora oggi, forzano la riflessione che il magistrato fece durante un seminario nel 1982 e che lo stesso fu costretto a chiarire più volte e anche durante una drammatica audizione davanti al Consiglio superiore della magistratura nell’ottobre del ’91.
Quelle parole le ricorda, a chi le ha dimenticate, il giornalista Maurizio Crippa sul Foglio:
“Il terzo livello, inteso quale direzione strategica, che è formata da politici, massoni, capitani d’industria eccetera e che sia quello che orienta Cosa nostra, vive solo nella fantasia degli scrittori: non esiste nella pratica”.
Parole di Giovanni Falcone, il magistrato che riteneva “il sospetto anticamera della calunnia e non della verità”.
Quelle verità che cercava e che raggiunse con “risultati giudiziari inediti, ancorati ad attività istruttorie che poggiavano su una piena solidarietà probatoria” come ha ricordato il presidente Mattarella.
Stefano Bisi