Strage di Capaci, 30 anni dopo. L’ex magistrato Antonio Ingroia è intervenuto sul tema nel corso della trasmissione “L’imprenditore e gli altri” condotta da Stefano Bandecchi su Cusano Italia Tv.
Strage di Capaci
“In quel periodo -ha raccontato Ingroia- avevamo tutti acquisito la cultura che Falcone, Borsellino e i magistrati del pool avevano portato e cioè che le indagini si fanno in prima persona, non si delegano. Quindi anche io ero andato a Roma ed ero rientrato poco più di mezzora prima che Falcone rientrasse con la sua auto blindata, perché quello è un passaggio obbligato. E proprio mentre arrivai in città, è arrivata via radio la notizia che c’era stato l’attentato. Chiesi subito di tornare sul luogo dell’attentato, nello stesso momento ci comunicarono via radio che Falcone fu trasportato in ospedale insieme alla moglie perché ancora non erano morti. All’ospedale incontrai Paolo Borsellino che mi disse che purtroppo Giovanni Falcone era morto”.
Il sacrificio di Falcone e Borsellino
“Oggi fanno vedere tutte le grandi emittenti nazionali la sfilata dei ministri e dei presidenti del consiglio di turno che vengono a Capaci per farsi vedere più che per agire. Falcone era definito una sorta di giudice sceriffo quand’era vivo, quindi non c’è solo la responsabilità della politica, ma anche dei media e della stessa magistratura. Dopo la morte tutti hanno rivalutato tutti la straordinaria lezione di Falcone e Borsellino, anche se non mi pare che sia stata messa in atto fino in fondo. Per carità, non voglio essere disfattista, qualche passo in avanti c’è stato, però c’è voluto un sacrificio enorme e ogni tanto mi chiedo se tutti noi che siamo venuti dopo siamo stati all’altezza di quel sacrificio”.