Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio ha fatto il punto sulla situazione in Ucraina in un’intervista concessa a La Stampa. Dalle prospettive belliche a quelle economiche, strettamente intrecciate, il diplomatico italiano è convinto che le sanzioni obbligheranno Vladimir Putin a sedersi al tavolo dei negoziati.
Di Maio a La Stampa: “Creare un corridoio marittimo per il grano”
Il primo argomento affrontato dal ministro degli Esteri Di Maio nel dialogo con il giornalista de La Stampa riguarda la linea da seguire sulla guerra in Ucraina. La pace è necessaria, secondo il pentastellato, anche per evitare problemi di sicurezza alimentare:
“Fin quando non riusciremo a fermare la guerra sono il primo a dire che come comunità internazionale possiamo fare di più. La priorità assoluta rimane porre fine alle ostilità e nel frattempo stabilire una programmazione per la fase postbellica. Non ci sarà una pace senza ascoltare le esigenze di Kiev.
“Tutti gli studi in materia di sicurezza alimentare dimostrano che c’è un solo modo per superare il blocco del grano nei porti ucraini: creare un corridoio marittimo protetto per consentire di trasportare il grano lontano dalle coste ucraine“.
Il ministro crede che un’azione congiunta sarà più efficace
Per il componente di governo la Russia e Vladimir Putin stanno continuando a prolungare il conflitto attraverso azioni di contrasto:
“Continuando a tenere in stallo i porti sul Mar Nero, la Russia si rende responsabile di nuove guerre. Mosca deve dimostrare di voler collaborare consentendo la costruzione di un corridoio, altrimenti la crisi alimentare si trasformerà presto in una guerra dagli effetti incalcolabili“.
Segue un passaggio sul piano italiano per la pace, anticipato in parte da Repubblica:
“Serve sicuramente una controffensiva diplomatica, a cominciare dall’istituzione di gruppo internazionale di facilitazione. Onu, Ue e Osce lavorano per essere il cuore del progetto, ma potranno coinvolgere altri attori, anche esterni. Abbiamo visto che la mediazione dei singoli stati, tra cui la Turchia, non ha avuto successo, pertanto un’azione collettiva di spessore può essere più efficace“.