In Europa si discute ancora del sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia presentato dalla Commissione europea. Il motivo principale è il non aver riscontrato il favore di tutti i 27 Paesi membri del Consiglio. Il tema principale è la decisione sull’embargo al petrolio russo e ad un’intesa di difficile raggiungimento nel breve periodo. Fino a questo momento i ventisette Stati Ue nelle sanzioni avevano trovato un accordo unanime, in particolare sull’esclusione di tutte le banche russe dallo swift e sull’embargo al carbone. Più le sanzioni si sono fatte pesanti, e di conseguenza le ripercussioni sull’economia europea maggiori, più l’Unione ha vacillato nelle sue decisioni.
La posizione dei paesi membri sulle sanzioni alla Russia
L’Ue si divide tra chi è favore a un embargo immediato e totale dell’energia russa, come tra l’altro vorrebbe il Parlamento europeo. Nel dettaglio in prima linea ci sono i Paesi Baltici come Estonia, Lettonia e Lituania ma anche Irlanda, Polonia e Bulgaria. Paesi come Spagna, Francia e Italia sono rimasti per il momento aperti a ogni ipotesi. Il nostro paese, nel dettaglio, preferirebbe all’embargo un tetto ai prezzi che eviterebbe una carenza della fornitura energetica. Altra posizione delicata è rappresentata da paesi come Germania e Austria che hanno oggi aperto a un taglio dell’import del petrolio russo ma, come nel caso della Germania, con la richiesta di un periodo di transizione. Arriviamo ora a quei paesi totalmente contrari a questo inasprimento di misure su Mosca. Ungheria e la Slovacchia respingono da settimane qualsiasi embargo: né petrolio, né gas. L’Unione Europea quindi sembra più che divisa quando si parla di energia ed impatto economico sul territorio.
Le prime reazioni
A parlare durante la plenaria alla Commissione Europea è stata in prima battuta la presidente Ursula Von Der Leyen: “Proponiamo un divieto del petrolio russo, un divieto totale d’importazione di tutto il petrolio russo, via mare e via oleodotto, greggio e raffinato. Vogliamo che l’Ucraina vinca questa guerra” ha detto ieri mattina.
Dunque l’unità europea non c’è. È anche per questo che il presidente del Consiglio Draghi, nel suo discorso di martedì all’europarlamento, aveva parlato di federalismo pragmatico, spingendosi a parlare di revisione dei Trattati per adeguare le istituzioni europee dove non sono all’altezza.