A Matteo Salvini non gliene va più bene una: è stato il più grande tifoso di Trump e “The Donald” ha perso le elezioni, ha indossato la maglietta di Putin e Putin è diventato un “paria” internazionale, se fosse stato francese avrebbe votato Le Pen ma quest’ultima ha perso le presidenziali. Insomma, il capitano leghista non sta di certo vivendo uno dei suoi momenti migliori. Tutti quelli sui quali “punta” vengono regolarmente sconfitti.
Ma non è soltanto per questo che a via Bellerio aumentano i malumori. Uno dei motivi principali è il drastico calo dei sondaggi degli ultimi mesi: “Ormai siamo intorno al 15%” rivela una fonte interna al partito. Troppo poco per una Lega che negli anni passati aveva sfiorato addirittura il 35% e troppo poco per le ambizioni di un leader che sognava palazzo Chigi. Ora poi ci si mettono anche i problemi interni al centrodestra con le candidature per le prossime amministrative. “Ma non ci saranno novità prima della Conferenza programmatica di Fratelli d’Italia che si terrà nei prossimi giorni a Milano”, spiega una fonte molto vicino al dossier candidature.
Insomma, per ora resta lo stallo. Malgrado le telefonate e gli sforzi dei tanti pontieri, ancora non torna il sereno in una coalizione segnata da un profondo gelo, non solo politico ma anche interpersonale, tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini. I due leader, come ha confermato Ignazio La Russa, impegnato in prima linea perche’ si ristabilisca il dialogo, “non si sentono da tre mesi”, ma aggiunge: “stiamo cercando disperatamente di ricucire”.
Tuttavia i nodi politici restano tutti, a partire da quello cruciale del voto siciliano. Com’e’ noto nell’isola il partito di Giorgia Meloni e’ fermo nel chiedere con forza che insieme alla scelta del candidato sindaco a Palermo il centrodestra stabilisca anche chi presentare alla Regione, ovvero decida di ricandidare Nello Musumeci. “Se in Sicilia dovesse saltare il principio della ricandidatura degli uscenti – ha ammonito direttamente Giorgia Meloni su Libero – non si vede perche’ dovrebbe essere mantenuto altrove”. Un messaggio chiarissimo agli alleati: se cade Musumeci FdI potrebbe in futuro sfilarsi, non appoggiando un altro Presidente uscente, come quello della Lombardia, il leghista Attilio Fontana, il cui primo mandato scade nel 2023. Un effetto domino, una escalation autolesionista, che se non si dovesse fermare rischierebbe di avere conseguenze per la coalizione anche alle prossime politiche.