Dopo giorni di crescita lieve ma costante il petrolio torna a scendere sotto la soglia psicologica dei 100 dollari al barile. A provocare la decrescita sono due tendenze opposte, di cui una risulta prevalente al ribasso. Da un lato la crisi pandemica della Cina, con Pechino che potrebbe sprofondare in lockdown, dall’altro la quasi certezza che il sesto pacchetto di sanzioni dell’Unione Europea verso la Russia consisterà nell’embargo totale delle forniture energetiche. Sono dunque i timori della domanda a frenare la risalita del Brent e del Wti, rispettivamente a 101 e 97 dollari al barile.
Le considerazioni degli analisti sul calo del prezzo del petrolio
Il tema è particolarmente centrale nelle discussioni degli analisti finanziari, a cominciare dall’evolversi dello scenario Covid-19 in Cina. Jeffrey Halley, analista di Oanda (trading online), commenta in questo modo ripreso da MilanoFinanza:
“Si teme che la Cina imporrà un lockdown anche nell’area di Pechino. L’arrivo di Omicron nella capitale avrebbe uno sviluppo inquietante, visto la Cina è la seconda economia mondiale. Ma l’esperienza ci dice che il governo di Xi Jinping non farà mai convivere la cittadinanza con il virus“.
Il vicepresidente esecutivo della Commissione Europea, il lettone Valdis Dombrovskis, fa sapere che sono in arrivo sanzioni intelligenti sull’embargo verso il petrolio russo.
“Stiamo lavorando su un sesto pacchetto di sanzioni e una delle questioni che stiamo considerando è una qualche forma di embargo sul petrolio. Quando imponiamo le sanzioni, dobbiamo farlo in un modo che massimizzi la pressione sulla Russia minimizzando i danni collaterali su noi stessi. Mancano i dettagli finali, ma sarà un processo graduale fino alla completa indipendenza da Mosca“.
Una notizia particolarmente significativa per i mercati, se si considera che la Russia è il più grande fornitore di petrolio dell’Europa (26%). L’Ucraina e alcuni stati dell’UE, tra cui Polonia e Lituania, vogliono un embargo immediato del petrolio e del gas russo, mentre la Germania e l’Ungheria si oppongono. Il petrolio e i prodotti petroliferi hanno inoltre rappresentato un terzo delle entrate delle esportazioni di Mosca l’anno scorso.