Il presidente del Consiglio Mario Draghi racconta in un’intervista al Corriere della Sera i retroscena delle telefonate avute con Vladimir Putin negli ultimi mesi. Il premier ha cercato di dissuadere il capo di Stato russo dall’intenzione di invadere l’Ucraina, senza però riuscirci. A nulla sono valsi anche i colloqui successivi, uno avuto prima del massacro di Bucha e l’ultimo (solo una settimana fa) per chiedere di far prevalere la pace.

Ci siamo telefonati con il presidente Putin prima dell’inizio della guerra. Ci siamo lasciati con l’intesa che ci saremmo risentiti. Alcune settimane dopo però ha lanciato l’offensiva“.

Nel mezzo del conflitto Draghi ha contattato nuovamente il suo omonimo al Cremlino, poco prima che il mondo vedesse la strage di civili a Bucha:

L’ho richiamato per parlargli di pace, per chiedergli di incontrarsi con Zelensky e trattare un cessate il fuoco. Mi ha risposto che i tempi non erano maturi, poi è arrivato l’orrore di Bucha. Comincio a pensare che abbiano ragione quelli che dicono: è inutile che gli parliate, si perde solo tempo“.

Draghi su Putin e le sanzioni: “La pace comporta dei sacrifici”

A questo punto il focus dell’intervista si sposta sulle ripercussioni economiche che la guerra comporta per l’Italia, a cominciare dalla crisi energetica:

La pace vale dei sacrifici. Il governo ha messo in campo 20 miliardi per evitare l’effetto boomerang delle sanzioni. È nostra intenzione fare il massimo per proteggere imprese e cittadini. Il nostro obiettivo economico è preservare la crescita e l’occupazione. Non siamo in recessione, ma c’è un rallentamento nei primi due trimestri di quest’anno. Il nostro futuro economico dipenderà dall’andamento della guerra“.

Poi il premier Draghi lancia un appello ai partiti della maggioranza:

Non sentitevi in una gabbia, progettate il futuro con ottimismo e fiducia e non con antagonismo e avversità. Guardate ai successi che avete ottenuto in una situazione molto difficile. Ci sono tutte le ragioni per essere fiduciosi. Lo stesso incoraggiamento lo estendo anche a tutti gli italiani“.

Infine, il colloquio si conclude con un passaggio significativo sull’invio di armi a sostegno di Kiev:

Da una parte c’è un popolo aggredito, dall’altra parte c’è un esercito aggressore. Qual è il modo migliore per aiutare il popolo aggredito? Le sanzioni sono essenziali per indebolire l’aggressore, ma non riescono a fermare le truppe nel breve periodo. Per farlo, bisogna aiutare direttamente gli Ucraini, ed è quello che stiamo facendo. Non farlo equivarrebbe a dire loro: arrendetevi, accettate schiavitù e sottomissione“.