Con la frase “Il nucleare torna a casa” il premier britannico Boris Johnson formalizza “la nuova strategia energetica” del Regno Unito. L’accelerazione sul tema è dovuta al caro bollette attribuito all’innalzamento dei prezzi del gas e di altre materie prime. Dinamica che Johnson ha collegato alle rimostranze di Mosca rispetto alle sanzioni imposte.

A livello di programmazione, Johnson ha inoltre confermato la volontà di utilizzare in questa fase di transizione le residue riserve nazionali d’idrocarburi nel Mare del Nord. Inoltre è stato approvato lo stanziamento di un piano immediato da 9 miliardi di sterline di sussidi destinato alle famiglie più in difficoltà. Una cifra valutata “inconsistente” dalle opposizioni.

Gb, il premier Johnson spinge sul nucleare ma non solo

La sicurezza energetica di Londra punta soprattutto sul nucleare, come ha spiegato il premier Boris Johnson. L’obiettivo è trascurare la volatilità dei mercati prodotta dall’eccessiva oscillazione dei prezzi delle materie prime e raggiungere entro il 2030 un 95% del mix elettrico a basso impatto.

Più nel dettaglio, il governo di Londra prevede di costruire fino a sette (oppure otto, il numero potrebbe variare) centrali nucleari entro il 2030, per poter fare affidamento esclusivamente sulle proprie fonti energetiche. A sorvegliare sulla tabella di marcia un nuovo ente governativo appositamente creato, il Great British Nuclear. Da qui al 2050 la Gran Bretagna installerà 24 nuovi GW di energia nucleare, che corrisponono al 25% della domanda di elettricità del Paese.

Ma non è tutto, perché anche le rinnovabili svolgeranno un ruolo chiave nella transizione. BoJo punta tantissimo sull’eolico offshore, per cui è in atto un braccio di ferro con l’Ue post-Brexit. Entro il 2030 Londra vorrebbe disporre di 50 nuovi GW, tagliando i tempi medi di autorizzazione a un anno. Sul fotovoltaico, infine, la meta è quintuplicare la produzione stoccata entro il 2035 fino a 70 GW, sfruttando i tetti di edifici sia commerciali che domestici.