Un’intera metropoli in lockdown, 26 milioni di persone costrette a stare a casa a tempo indeterminato. È quanto sta accadendo a Shanghai, cuore economico e finanziario della Cina.
Nel tentativo di arginare l’epidemia con l’obiettivo di evitare una Nuova Wuhan, dopo aver lanciato numerosi test di massa, alla fine di marzo le autorità di Shanghai hanno chiuso “selettivamente” alcuni quartieri per quelle che sarebbero dovute essere 48 ore:
la zona est doveva restare in lockdown dal 28 marzo all’1 aprile, quella a ovest dall’1 aprile al 5 aprile.
Tutto sarebbe quindi dovuto terminare il 5 aprile, ma di fronte all’aumento dei casi attivi, la scelta di prorogare il lockdown:
le scuole, i parchi, le strutture d’intrattenimento sono chiusi.
Le autorità cinesi seguono una politica che essi stessi chiamano “zero-Covid dinamico” e che prevede che ogni nuovo caso venga trasferito in strutture di quarantena.
Shanghai in lockdown: le proteste dei residenti
Moltissimi hanno segnalato come questo lockdown “disumano” abbia reso impossibile anche l’approvvigionamento di generi alimentari di prima necessità.
Difficoltà che, collegate all’incognita sulla durata del confinamento, hanno portato gli abitanti a scendere in piazza per una serie di proteste senza precedenti.
Una delle principali è sicuramente quella dei residenti del palazzo Jiangnan Xinyuan nel distretto di Minhang:
“Vogliamo mangiare, vogliamo lavorare, vogliamo avere il diritto di sapere, vogliamo che il comitato venga a risolvere i nostri problemi, vogliamo la libertà”.
Non solo Shanghai, altre proteste analoghe si sono svolte in città cinesi come Shenzhen e a Jilin.