Ci voleva il caso della vicenda della preside di un liceo romano sospettata di aver avuto una relazione con uno studente maggiorenne per riportare in primo piano la “questione privacy”, cioè il diritto alla riservatezza dei dati sensibili tra cui le convinzioni religiose, filosofiche, sessuali, politiche e così via.
Il Garante privacy ricorda “che, nella diffusione di dati personali per finalità giornalistiche, il diritto di cronaca deve tutelare dignità, diritti e libertà fondamentali della persona. Un principio, richiamato anche nelle Regole deontologiche, da interpretare con particolare rigore in riferimento a informazioni relative alla sfera sessuale”.
Troppo spesso la privacy è vista come un’inutile e noiosa perdita di tempo quando dobbiamo firmare tre, quattro, cinque autorizzazioni quando andiamo in banca o in albergo. Invece è un diritto che ogni cittadino ha per difendersi da atti che violano la propria personalità.

La protezione dei dati personali non è una perdita di tempo

A questo proposito andrebbe riletto un libro che raccoglie alcuni scritti di Stefano Rodotà, uno dei più grandi giuristi del Novecento, morto nel 2017, molto utili per i singoli cittadini e per lo sviluppo culturale dell’intera società. Non solo ci ricorda che il “nucleo duro della privacy è ancor oggi costituito da informazioni che riflettono il tradizionale bisogno di segretezza (per esempio, quelle riguardanti la salute e le abitudini sessuali) ma aggiunge che “al suo interno hanno assunto rilevanza sempre più marcata altre categorie di informazioni, protette soprattutto per evitare che attraverso la loro circolazione possano nascere situazioni di discriminazione a danno degli interessati”. Cioè i dati relativi a opinioni politiche, sindacali, a fedi religiose e iscrizione ad associazioni appartengono alla categoria dei dati sensibili che sono tutelati perché la loro circolazione potrebbe essere usata a fini discriminatori anche sul posto di lavoro. Parola di Rodotà. E speriamo che qualcuno lo ascolti.

Stefano Bisi