Donbass, l’ultimo desiderio di Putin

Un’invasione, quella avviata dalla Russia ai danni della vicina Ucraina, che ha sempre avuto una finalità prioritaria: l’annessione, il controllo e la “liberazione” del Donbass. Poi lo scoppio della guerra, la marcia su Kiev, il conflitto che si protrae, le difficoltà e le perdite russe, le frasi di Biden sull’intervento della Nato e, infine, il cambio di strategia e il ritorno all’obiettivo iniziale, il Donbass.

Donbass, “liberarlo” torna ad essere l’obbiettivo

La Russia ha informato che in Ucraina ha preso il via una “nuova fase” nell’invasione, il target torna ad essere “liberare il Donbass”. Cosa succede ora? Gli attacchi sempre più intensi contro le altre città ucraine avevano solo lo scopo di distrarre le forze di Kiev. Attorno all’annuncio russo c’è tanta cautela e poca fiducia: forse è il segnale che la guerra non durerà a lungo e che Mosca riduce le sue ambizioni.

Quel che non torna, rispetto ai cambi di strategia annunciati dai russi, è che più che al «controllo» e alla sua «completa liberazione», i russi si stanno impegnando alla sua distruzione. Deportano più di 400 mila persone e dire che Putin era arrivato a donare 700mila passaporti ai fratelli russi del Donbass. I fatti parlano di un modo diverso utilizzato per convincerli ad andarsene.

La culla della Chiesa russo ortodossa

Il Donbass che Putin ha oramai messo nel suo mirino, non è solo il tesoro delle acciaierie e degli oligarchi legati a Mosca. E’ anche il cuore pulsante di una Chiesa ortodossa devota alla Russia, dalla quale ha preso le distanze la Chiesa ucraina. Nel Donbass la battaglia si è combattuta anche sulla lingua, perché qui nessuno ha mai voluto rinunciare al russo (anche se nessuno ora vuole più stare sotto Putin). Insomma, un rapporto con Mosca sempre particolarmente tribolato, tra sentimento d’identità ed effettiva sottrazione al controllo russo.