È trascorso già un mese da quando il 24 febbraio, alle 5 del mattino, l’eco delle esplosioni ha svegliato l’Ucraina. Una guerra che, nei piani mai realizzati del presidente russo Vladimir Putin, doveva durare 72 ore ma ha dovuto fare i conti con la strenua resistenza locale. Il popolo ucraino si è infatti fortemente imposto contro l’invasione di Mosca, nonostante i mezzi militari a disposizione di Kiev siano decisamente inferiori rispetto a quelli del Cremlino. Sullo sfondo, questo primo mese di guerra ha ridotto in macerie non solo obiettivi militari ma anche civili, causato migliaia di vittime e milioni di profughi. Nella giornata di oggi sono stati aperti sette corridoi umanitari in Ucraina per evacuare le persone ancora residenti nelle regioni di Kiev e Zaporizhzhia, così come la città di Mariupol, nella regione di Donetsk.
Iryna Guley, giornalista locale e corrispondente per Cusano Italia TV dall’Ucraina racconta come effettivamente funzionano i corridoi che dovrebbero permettere ai cittadini di evacuare le città in sicurezza.
Ucraina, corridoi umanitari violati: il racconto di Iryna Guley
“Ogni giorno il ministro che si occupa dei territori occupati cerca di parlare con i militari russi per stabilire questi corridoi. Al mattino comunica quanti saranno disponibili e la sera fa il punto su quanti hanno funzionato. Perché di solito, ieri ad esempio, ci ha comunicato che da nove corridoi hanno lavorato solo sette. Due erano continuamente presi di mira dai russi, gli autobus che cercavano di raggiungere le città si trovavano sotto gli spari. Insomma quando concordato non viene rispettato.
Molti per abbandonare le città usano la propria auto ma devono andare ad una determinata velocità altrimenti i russi fanno fuoco. Gli autobus inoltre non sempre riescono ad entrare nelle città. A Mariupol ad esempio. Allora si fermano in città vicine, ma nel caso di Mariupol si tratta di un posto a 100 km di distanza. E se qualcuno non è automunito deve percorrere questa distanza a piedi. Persone che tra l’altro non mangiano e non bevono, perché adesso acqua e cibo mancano in città. E comunque rischiano di trovarsi sotto gli spari russi.
Insomma queste persone si trovano a scegliere se morire in città o morire mentre provano a raggiungere i corridoi umanitari”.
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