Sfogliando una vecchia moleskine ho ritrovato la riflessione di un professore di liceo alla fine dello scorso anno scolastico passato tra lezioni a distanza e tante paure. Mi colpì e la copiai tra i miei appunti; è rivolta ai giovanissimi, a quella fascia di età che ha passato gli ultimi due anni della vita tra pandemia e guerra. A questa generazione dobbiamo delle scuse. Il messaggio di quel professore non è superato, anzi oggi assume ancor più forza: “Non darò a tutti 10, ma non darò neppure alcuna insufficienza. Ringrazio i miei alunni per la grande lezione di maturità e responsabilità, che mi stanno dando. Ogni giorno sono con me nelle video lezioni. I loro volti, le loro voci, al computer, sono uno squarcio di bellezza e di speranza nel cielo plumbeo di questa pandemia. L’insufficienza la darò invece a me e alla mia generazione, per non aver lottato abbastanza per lasciare loro un mondo migliore, per non aver fatto del nostro meglio per impedire che questo tempo, il tempo della loro fanciullezza e adolescenza, il loro tempo, fosse loro strappato, ridotto a scampoli di esistenza in spazi chiusi”.
“Sono io ad essere stato insufficiente”
E prosegue: “Insufficienza per il nostro egoismo, per l’incapacità di aggiungere un posto a tavola e insieme lavorare per una Terra accogliente e solidale, per aver rinunciato, in nome del profitto, al grande sogno di tenerci tutti per mano e costruire la pace. Non posso dare insufficiente ai miei alunni, quando sono io ad essere stato insufficiente. A nome mio e per conto della mia generazione, vi chiedo scusa, ragazzi!”.
Costruire la pace, ha scritto il professore del liceo. Siamo noi a doverlo fare e non i giovanissimi. A loro, appunto, dobbiamo solo delle scuse. Dopo la pandemia anche la guerra, con le immagini di massacri, di città rase al suolo e la foto simbolo di quella piazza ucraina con decine di carrozzine per bambini maledettamente vuote. La morte che vince sulla vita mentre dal cielo continuano a piovere le bombe. Non sono coriandoli.
Stefano Bisi