Indomito, una colonna nella tempesta. Così, in questi giorni, sta passando alla storia Volodymir Zelensky, il presidente ucraino figlio della resistanza di Kiev. Eppure, oltre che nei gesti, si scorge nel principale rappresentante della forza dell’Ucraina un nuovo metodo dialettico. D’altronde, quella che si vive oltre a essere una guerra di terra, di cielo e di mare è anche un conflitto dialettico, in cui vince chi si logora meno. Una partita a scacchi nell’universo verbale. Se Vladimir Putin avanza nella sua fermezza Zelensky sceglie di approcciare al mondo con una nuova comunicazione. E cambia tutto rispetto a quanto era prima.
Sono stati spesi fiumi d’inchiostro sul cambio d’abito, dal “ciao ciao” alla cravatta alla scelta di non indossare più giacche. Inoltre, nel gioco della potenza delle immagini, lo si vede spesso vestito di verde. Un colore simbolo di due elementi: l’abusato termine “verde speranza”, ma più che mai efficace, e l’invito al conflitto. Il verde è il colore dei militari, di coloro che avanzano, di chi non cede. Zelensky, a tratti, ne fa vanto estetico. Questo nel vestiario, ma anche nella presenza. Spesso è solo. Non lo si vede mai circondato da “scagnozzi”, come invece fa Putin. Lo si vede spesso in solitaria, con un muro dietro e una bandiera ucraina, come accadde all’Europarlamento. Nel conflitto c’è anche questo.
La solitudine di chi sa combattere da solo ma anche di chi sa portare a sè un plotone di alleati. Negli ultimi minuti il presidente ucraino ha estratto dal cilindro una carta da scala reale, quella di rivolgersi alle madri dei soldati russi. “Non mandate i vostri figli in guerra contro di noi”. Parliamo di un conflitto che, nelle mire di Putin, doveva essere lampo e che invece si sta mostrando duro e a tratti asfissiante. Sono stati molti i soldati russi mandati impreparati, quasi inconsapevoli. Su questa debolezza emotiva si gioca tutto Zelensky, che cerca di portare a sè le madri di questi soldati, figli strappati via dalla famiglia per le mire espansionistiche di un singolo. Insomma, si fa leva sui crismi altrui. Un gioco da abile scacchista.
Come cambia la comunicazione di Zelensky
Lo sguardo sempre fisso, il pugno alzato e palpebre sbatutte poche volte. In questi piccoli dettagli si scorge un uomo, non un presidente. Un uomo con le sue paure, i suoi timori ma la sicurezza e la fermezza di star rappresentando un popolo intero. Appelli costanti alle istituzioni europee e mondiali, conditi da lanci di affetto verso i suoi cittadini e spinte di esortazione per i russi, invitandoli al ragionamento. Il teatro, in questo, gioca la sua. Non è un caso che in passato lo stesso Zelensky abbia citato Shakespeare. Eppure, in questa dicotomia tra essere e non essere, lui ha scelto la prima. Di sicuro, con questo ritmo, sarà consegnato alla storia come il presidente dell’essere. Niente male per chi, fino a qualche anno fa, era dietro i riflettori del cinema e ora, nel ballo della vita, è davanti a quelli del mondo.