Insegnare è lasciare un segno. L’iconografia più diffusa per descrivere una sessione didattica è l’immagine di un maestro che parla a un gruppo di allievi per “segnarli”. Insegnare significa imprimere dei segni (signare) nella (in) mente, o comunque nell’animo di una persona. Si può insegnare bene, meno bene o male; ci sono almeno due tipi di cattivi maestri: quelli che non sanno comunicare bene e quelli che insegnano ai loro allievi valori e stili di vita sbagliati e dannosi.
Non si insegna mai a soggetti astratti, ma a persone concrete che hanno percorsi e sensibilità diverse, una formazione di base e capacità di apprendimento spesso assai variegate. Un buon insegnante non insegna ad una “classe”, ma a persone diverse che formano una classe. Un buon insegnante è tale non solo se riesce a far emergere le potenzialità o il talento di alcuni studenti, ma se permette all’ insieme dei suoi allievi di raggiungere risultati adeguati. Poiché l’insegnamento è fatto da chi insegna e da chi apprende, occorre che queste due realtà si integrino e collaborino, che si crei un legame, una simpatia cioè un “sentire insieme”. Un buon insegnante deve saper suscitare l’interesse e coinvolgere gli studenti, cioè rendere interessanti e chiare le cose che insegna: deve avere una conoscenza profonda dei temi e capacità di comunicazione. Un altro elemento è fondamentale: la capacità di verificare il livello di apprendimento degli studenti, altrimenti si rischia di essere la “vox clamantis in deserto”, la voce che parla a vuoto perché l’interlocutore ascolta ma non capisce. Fra lo studente e il docente deve aprirsi una linea di comunicazione e di ascolto reciproci.
L’educazione nella tradizione europea
La formazione di un giovane nel mondo antico rispecchiava alcuni dei postulati su richiamati. L’educazione spesso era prerogativa di pochi, i figli degli aristocratici e dei ricchi. Un maestro svolgeva la funzione di pedagogo per tutte le discipline teoriche. Potevano esserci altri maestri per l’attività sportiva, l’equitazione e l’addestramento militare. I prìncipi spesso avevano un pedagogo: il caso più famoso è quello di Aristotele, maestro di Alessandro Magno. Hegel dirà che, da solo, questo legame, mostra il rilievo e la funzione della Filosofia.
Anche i figli dei re spesso venivano educati assieme ad altri giovani della corte, a partire dalla considerazione che l’educazione è essenzialmente educazione alla vita che non può prescindere dal rapporto, dal confronto, dalla cooperazione con gli altri, come avviene anche nello sport, nel gioco di squadra e nella competizione fra singoli. Un’altra modalità tipica dell’educazione antica, così come la vediamo in Grecia, è il dialogo fra il maestro e lo studente. Un esempio tipico di didattica dialogante è quello che troviamo nelle opere di Platone, con l’insegnamento socratico che si sviluppa soprattutto dall’incontro e dal confronto con altri interlocutori.
Lo studente ed il docente, come il principiante e l’esperto o l’apprendista e il maestro, non si trovano sullo stesso piano, il dialogo non si instaura fra soggetti che si equivalgono, ma fra chi insegna grazie alle sue competenze e chi vuole apprendere per accrescere le sue conoscenze ed abilità. Il dialogo, però, non viene meno: è fatto di domande e risposte, di verifiche, di messe alla prova.
Il modello classico vede il docente attorniato da una piccola cerchia di studenti con i quali si trova in rapporto quotidiano. Lo stesso modello lo ritroviamo anche in epoca moderna, con la nascita delle università: un esperto in determinati campi offre le sue competenze ad un gruppo di studenti che vogliono diventare competenti in certe discipline, ad esempio la medicina.
La formazione come relazione coinvolgente
L’insegnamento classico è personalizzato, attento al background, alle caratteristiche ed alla personalità degli allievi. Questi ultimi sono “accompagnati” nelle varie fasi dell’apprendimento dal docente, che istaura con l’allievo una relazione pedagogica che ha alla base non solo la comunicazione, ma pure l’ascolto e la verifica. Innanzitutto la verifica dell’adeguatezza del metodo pedagogico, del coinvolgimento dello studente, del suo livello di apprendimento, di eventuali difficoltà riscontrate nello studio o nell’esposizione. Allo studente non si chiede solo capacità di ascolto, ma partecipazione attiva, elaborazione personale e impegno costante per migliorarsi. In che modo questo patrimonio dell’educazione classica ed umanistica viene oggi recepito dalle nostre università?
Il modello del Campus universitario
Il tipo di formazione che più si avvicina al modello classico è quello del Campus universitario, diffuso nel contesto anglosassone. Il Campus è per lo studente non solo il luogo della didattica, ma anche l’ambito principale delle proprie relazioni e della vita universitaria con il docente e gli altri studenti, a lezione, nei seminari e nei vari momenti della vita accademica. Nel Campus si seguono i corsi in presenza, con un numero limitato di studenti che permette un’interazione con il docente, il quale spesso ricorda i nomi dei suoi interlocutori. Ma il docente si può incontrare al bar, in biblioteca, alla mensa, a volte la sera nel cinema o nel teatro del Campus. Un ruolo fondamentale ha l’attività sportiva, giustamente considerata formativa non solo del fisico, ma pure del carattere. In un Campus si praticano varie attività sportive e un’università è a volte in grado di avere un’équipe sportiva che può farsi valere anche a livello nazionale. Studio, sport, momenti ricreativi si svolgono in gran parte nel Campus, questo vale per gli studi umanistici come per quelli scientifici, con le dovute differenze legate come nel caso di medicina alla frequentazione di cliniche e laboratori medici.
Diversa la situazione nelle università italiane dove il modello più diffuso è l’ateneo pubblico, che di regola non prevede neppure la frequenza dello studente alle lezioni, neanche in facoltà come ingegneria ed architettura. In sostanza ci si può iscrivere ad una facoltà fatta di corsi delle varie materie, senza seguire i corsi, standosene a casa. Queste università si chiamano “in presenza”, seppure nessuno conosce le cifre di questa presenza. Di fatto gli studenti che seguono le lezioni sono una minoranza, spesso non arrivano neanche ad un quinto degli iscritti. Questo tipo di università “in presenza” ha poco o nulla a che vedere con il modello di insegnamento classico, fatto di interazione e contatto quotidiano fra docente e studente. In occasione degli esami, spesso unico momento di incontro fra studente e docente, si trovano di fronte due perfetti sconosciuti che nulla sanno l’uno dell’altro.
Il Campus telematico
Diversa la realtà di un ateneo come quello in cui insegno, l’Unicusano, che sarebbe riduttivo definire “solo” telematico, perché in realtà è blended, cioè combina insegnamento in presenza e a distanza. Lo studente di un’università telematica ha on line tutto il corso universitario e vi può accedere per 365 giorni l’anno, in qualsiasi momento, senza prendere l’autobus per andare a lezione, fare la fila per entrare nell’aula o perdere una mattinata per ascoltare una conferenza di 45 minuti. Durante la lezione ci sono test di verifica dell’attenzione e dell’apprendimento, cioè del suo reale coinvolgimento. On line ha pure le dispense con gli argomenti ascoltati a lezione. Durante la giornata, dal lunedì al venerdì, può entrare in contatto via email o in videoconferenza con il tutor della materia, ma pure con il docente che ogni giorno svolge attività seminariali o di ricevimento degli studenti. Il suo apprendimento viene monitorato e verificato costantemente, anche attraverso etivity, cioè brevi tesine che lo studente può svolgere su impulso del docente. Parallelamente allo studio delle lezioni del corso registrate in piattaforma, lo studente può seguire cicli seminariali tenuti in presenza ma pure in teleconferenza e poi disponibili in piattaforma. In breve, lo studente ogni giorno può entrare in contatto con il docente, verificare e migliorare la sua preparazione. In tal modo si formano anche delle classi virtuali, stabilendo legami che spesso vanno al di là della preparazione del singolo esame. Questo tipo di insegnamento per l’interazione quotidiana che stabilisce fra l’ateneo, i docenti e lo studente è molto vicino al modello classico di formazione.
Prof. Enrico Ferri
www.ferrisstudies.com