Sono passati due anni da un momento che rimarrà per sempre nella storia del nostro Paese e impresso nella memoria di tutti noi. Era la sera del 9 marzo 2020, quando l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava che dal giorno successivo l’Italia sarebbe entrata in lockdown.
9 marzo 2020, due anni fa Conte annunciava il lockdown
“Sto per firmare un provvedimento che possiamo sintetizzare con l’espressione ‘io resto a casa’. Non ci sarà più una zona rossa, non ci sarà più la zona uno e la zona due della penisola. Ci sarà l’Italia. Un’Italia zona protetta“.
Probabilmente non dimenticheremo mai queste parole né la apprensione con cui Giuseppe Conte le pronunciava. Quel giorno il bollettino giornaliero contava 9172 contagi e 463 decessi. Ma la vera drammaticità si vedeva negli ospedali.
Code chilometriche di ambulanze che aspettavano il proprio turno sperando nella disponibilità di un posto letto. Personale stremato da turni infiniti da affrontare senza le dovute precauzioni. Elena Pagliarini, infermiera del Pronto soccorso dell’ospedale di Cremona, diventerà la protagonista della foto simbolo di quei tragici giorni. Sfinita, si era addormentata con la testa sulla tastiera del computer, con la mascherina e il camice ancora indosso.
Lockdown, Conte: “Evitare spostamenti in tutta Italia, tranne che per ragioni di lavoro, necessità o salute”
La pandemia avanzava incessantemente e del virus si sapeva ancora poco, pochissimo. Con le parole di Conte si apriva uno scenario alquanto surreale che nessuno avrebbe mai immaginato e che per i successivi 70 giorni circa ci avrebbe fatto piombare nella paura e nella solitudine. Un lockdown generale, tutte le attività chiuse se non quelle strettamente legate ai beni di prima necessità. Non un’uscita, non una visita a parenti, genitori, nonni. Non una passeggiata al parco.
Per le prime settimane c’era solo un appuntamento non esplicito ma che molti rispettavano. Nel pomeriggio si aprivano le finestre, si metteva la musica, si ballava, si cantava, si suonava e per quanto possibili, si socializzava da un dirimpetto all’altro. Ripetendo come mantra “Ce la faremo!” , “Andrà tutto bene”. Lungi applausi e pittoreschi arcobaleni disegnati dai nostri bambini ad ornare i balconi.
Quel 9 marzo, insomma, con l’annuncio di Conte la pandemia da concetto astratto diventava una realtà. Iniziava allora il sacrificio che ci avrebbe reso “distanti oggi per abbracciarci più forte domani“. Sono trascorsi due anni. Ma gli abbracci quelli pieni, avvolgenti e spontanei, sembrano ancora lontani.