I tre podi di Pechino l’hanno resa l’atleta azzurra più medagliata di sempre delle Olimpiadi, ma Arianna Fontana ha ancora qualche sassolino da togliersi sullo short track e sull’ambiente che lo circonda e lo fa in un’intervista al Corriere della Sera.
“Hanno detto che non sono una leader, che ho spaccato la Nazionale. Non sono mai stata una da grandi discorsi: faccio parlare i risultati. Essere sul ghiaccio da 16 anni è un modo di essere leader. Se non mi interessasse la squadra, oggi starei zitta. È dal 2010 che vivo male certe situazioni con gli allenatori. Mi stavano trasformando in una fondista: avevo quasi perso le mie doti di sprinter. In avvicinamento a Vancouver, ho imparato a gestirmi da sola”.
La polemica dura da anni e non si è spenta nemmeno con le vittorie olimpiche, anzi. “A Baselga di Pinè il presidente Gios mi propone di riunirmi al gruppo. Tommaso Dotti e Andrea Cassinelli si mettono a fare tracce pericolose davanti a me, cambi di direzione, accelerano e decelerano. Roba pericolosa. Parlottano, è palese a tutti: vogliono farmi cadere. Diventano sempre più aggressivi, io mi tengo a distanza, finisco l’allenamento, me ne vado. Alla riunione tecnica del giorno dopo, ammettono: non ci sta bene che ti alleni con noi. Mi aspetto conseguenze, invece la Federazione butta il problema su mio marito: dà fastidio vederlo sul ghiaccio.
Arianna Fontana prosegue: “Cassinelli smette, ma Dotti continua con i suoi giochetti per tutta la stagione. Un ambiente tremendo. Ogni giorno mi sveglio con l’angoscia e il mal di stomaco, chiedendomi: oggi cosa succederà? Cosa faremo io e Anthony di sbagliato? E il giorno del contatto tra me e Dotti, naturalmente, arriva: vado dritta contro le balaustre a 50 all’ora, la caviglia si gonfia. A Salt Lake City, in Coppa del Mondo, per precauzione rinuncio alla staffetta. Gios mi manda a dire che o partecipo o faccio le valigie. Sempre lui, a Pechino, ha detto che i ragazzi sono gli sparring partner ideali per crescere, che dovrei ringraziarli. Quindi il contatto in piena velocità con un uomo che pesa venti chili più di me sarebbe utile? Ma di cosa stiamo parlando…?”
La posizione su Milano-Cortina 2026
La Fontana è un fiume in piena: “Il vero problema è che un atleta ha il diritto di allenarsi in un ambiente sereno, il nostro invece è tossico: nel linguaggio, nei pensieri, negli atteggiamenti da bulli di certi colleghi. Tutti hanno paura di esprimersi, ci sono giovani appena entrati in squadra che vogliono già smettere. È importante che l’atleta venga ascoltato, non usato come mezzo per arrivare alle medaglie. C’è un tema di cultura sportiva da cambiare: in Italia è un asilo, manca professionalità. Io a Milano-Cortina 2026 ci vorrei arrivare, chiudere ai Giochi italiani come ho iniziato sarebbe una favola ma altri quattro anni così non li faccio”.