Motomondiale fa rima con velocità. Vince chi è più veloce degli altri. Rapidità, quindi. Coraggio, anche. Il tutto da tradursi in presenza, sulla moto così come a ridosso dell’asfalto. Chilometri, usura, inclinazioni, gomme, cilindri, acciaio e quant’altro. Nulla di nuovo sotto il sole del Qatar per un campionato che domenica riprende il via. Osservando meglio però, qualcosa di nuovo c’è.

Motomondiale 2022, il peso di un’assenza

E sì, perché se fino a ieri è stata la presenza in sella a decretare gerarchie e classifiche finali, seguito e antipatie, scelte e intuizioni, stavolta ci sarà un ingrediente in più con cui dovranno fare i conti gli aspiranti al titolo della MotoGP. E quel qualcosa è l’assenza. L’assenza di Valentino Rossi, che dopo 26 stagioni consecutive sul circus, quest’anno non sarà al via della stagione. Il lungo addio era stato preparato con tutta la cura del caso, “si è fatto un bel casino” ripeté Rossi a Valencia appena smontato di sella. La certezza del suo ritiro era pari solo a quelle della sua imminente paternità: sul suo futuro lontano dalla pista restò vago; nessuno si premurò invece di sapere come la pista stava vivendo quel momento, e come si stesse preparando alla separazione dal suo centauro prediletto.

Un’eredità più grande dei trofei

Su un punto tutti furono concordi però: ammettere che il motorsport fosse diventato un’altra cosa dacché il Dottore planò per la prima volta sul traguardo di Brno nel lontano 1997. Circo, attesa, giostra, roulette, azzardo per gli occhi e le coronarie, eppure in grado di unire ben tre generazioni sui divani di casa per seguire le evoluzioni del No.46. Sia che la vittoria fosse scontata, sia che Valentino annaspasse nelle retrovie, il legame fideistico che univa Rossi alla sua tifoseria (e non solo) è stato qualcosa che ha trasceso il semplice amore per i motori, sconfinando altrove e trovando impensabili seguaci in mondi assai diversi e lontani da quello delle quattro ruote.

Oggi, a pochi giorni dal primo semaforo verde della stagione, il sentimento con cui ci si approccia a questa nuova annata è contrastante: da un lato non si attende altro che i motori tornino a rombare; dall’altro si registra un vuoto che i vari Quartararo, Bagnaia, Morbidelli, Mir e via dicendo potranno provare sì a colmare nelle bagarre domenicali cui daranno vita, ma che nel fondo sentiremo sempre in riserva per qualcosa cui eravamo abituati e che oggi non c’è più, un qualcosa che solo in parte ha a che fare con i giri, i motori, le gomme e i sorpassi, e che a fatica proviamo ad accettare dicendoci che altri centauri arriveranno a tagliare il traguardo dei nostri cuori. Dicono si chiami tempo, livella inesorabile più di ogni altra cosa. Altri la chiamano gioventù, balsamo che addolcisce i ricordi rivestendoli di una coltre capace di serbarli intatti nel ricordo di quel che è stato, di quel che siamo stati.