Daniil Medvedev, nuovo numero uno del tennis mondiale, ci ha ricordato che non c’è regno, per quanto grande, su cui alla fine non cali il sole. E’ accaduto anche a quello di Novak Djokovic, un’egemonia lunga ottantasei settimane consecutive il cui destino si è deciso sulla rotta tra Dubai ed Acapulco. La scelta del serbo di non aderire alla campagna vaccinale aveva di fatto innescato un conto alla rovescia in cui merito e risultati avrebbero finito col cedere il passo al tempo e all’inesorabilità. Il fatto che si sia arrivati a questo nuovo scenario in anticipo sullo stupore dei pretendenti è curioso perché rivela due aspetti sui quali non ci si è soffermati abbastanza durante la rincorsa.
Daniil Medvedev, una scalata partita da lontano
Erano quasi due anni che il russo tallonava Djokovic. Le vittorie del serbo, la sua infallibilità nelle occasioni che più contano, il logorio a cui andavano incontro i suoi rivali di sempre: tutto lasciava credere che il suo dominio fosse destinato a durare ancora a lungo. Poi qualcosa a New York si è incrinato, tanto nelle sue certezze quanto nel suo gioco. La finale degli US Open che in caso di vittoria avrebbero permesso a Nole di completare il Grand Slam (impresa mai più riuscita a nessuno dopo il 1968) era attesa dai più come una formalità cui attendere, e invece la disfatta di Djokovic, tra l’incredulità del pubblico e dello stesso Nole, incapace di opporre alcunché alla china su cui si era indirizzato il match, hanno evidenziato ancor di più come nel tennis ogni partita sia diversa dalle altre e come il peso psicologico con cui la si affronta possa incidere in modo decisivo sugli esiti della contesa.
Molti dubbi e pochi tornei
Oggi il contesto è cambiato. Dopo lo stop ricevuto in Australia Djokovic ha visto il suo calendario gioco forza ridotto, le politiche d’ingresso ai vari tornei così come quelle che regolano l’entrata di passeggeri stranieri in altri paesi, sono soggette a restrizioni cui Novak può opporre ben poco. Ma il fatto che Nole, pur manifestando la consapevolezza del suo gesto e accettando le conseguenze cui potrebbe andar in contro (“Rinuncerei ai titoli di Parigi e Wimbledon so fossi costretto a vaccinarmi”), abbia dichiarato nelle sue ultime interviste che le cose potrebbero cambiare, lascia intendere che tali regolamenti potrebbero subire delle modifiche e non aprirsi a delle esenzioni che, come abbiamo imparato, sono soluzioni che prestano più facilmente il fianco a interpretazioni border line.
Per questo chiusa la rincorsa di Medvedev, ne intuiamo un’altra pronta a prendere il via. Occorrerà che Djokovic faccia meglio nei tornei in cui potrà giocare, e che Medvedev non inneschi una striscia di vittorie tali da rendere incolmabile il gap tra sé e gli altri nel breve tempo. Ma primavera e estate si annunciano come stagioni di grandi cambiamenti, di caccia e di agguati. E c’è da scommettere che Djokovic non abbia alcuna voglia di continuare a recitare un ruolo da comprimario.