Un vecchio proverbio dice che “le parole le porta via il vento” ma è un detto popolare superato. Con le tecnologie moderne, con internet che tutto rende eterno, le parole restano. E spesso sono impregnate di odio e fomentano violenza. Oggi va di moda utilizzare la definizione hate speech, quelle espressioni di intolleranza rivolte verso delle minoranze. Le conseguenze possono essere drammatiche, soprattutto quando vengono prese di mira le persone. E non basta cancellare espressioni ingiuriose dal web per rimediare ai danni, perchè le parole sono come le frecce, una volta scagliate non tornano indietro. E le ferite rimangono.
Allora che fare? Il giornalista Riccardo Cucchi ci ricorda che “la parola è il ponte creato dall’essere umano per non essere solo” ma proprio lui, popolare radiocronista, afferma la necessità di “un rinascimento della parola in un’epoca di invettive e umiliazione del linguaggio”.
Don Lorenzo Milani: “Solo la lingua rende uguali”
Secondo il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky “il numero di parole conosciute e usate è direttamente proporzionale al grado di sviluppo della democrazia e dell’uguaglianza delle possibilità. Poche parole e poche idee, poche possibilità e poca democrazia; più sono le parole che si conoscono, più ricca è la discussione politica e, con essa, la vita democratica”. Per lo scrittore Gianrico Carofiglio “la povertà della comunicazione si traduce in povertà dell’intelligenza, in doloroso soffocamento delle emozioni”.
L’importanza della parola è il filo conduttore dell’opera di don Lorenzo Milani, il priore di Barbiana, piccolo borgo del Mugello, che negli anni Cinquanta fondò una scuola per i figli dei contadini: “Solo la lingua rende uguali, perchè eguale è chi sa esprimersi e intende l’espressione di tutti. Impadronirsi delle parole è l’unica difesa dei poveri”. A tutti, ricchi e poveri, non resta che usare la parola dopo aver messo in azione il cervello.
Stefano Bisi