Il 2022 sarà l’anno dello sportwashing? Se lo è chiesto il Guardian, pochi giorni dopo i festeggiamenti per il nuovo anno. Dai Giochi Olimpici di Pechino al Mondiale di calcio in Qatar, il quotidiano britannico ha passato in rassegna i prestigiosi eventi sportivi che nel corso dell’anno saranno funzionali a Paesi come Cina e Arabia Saudita, per ripulire la propria immagine pubblica agli occhi della scena internazionale.
Sportwashing, così gli Stati autoritari si rifanno l’immagine
Per capire bene cosa si intende con il neologismo inglese si può partire dalla definizione che diede Amnesty International già alcuni anni fa. Sportwashing significa ripulirsi la coscienza con il pallone. Ovvero sfruttare lo sport per modernizzare la propria immagine così da distogliere lo sguardo dalla situazione dei diritti umani.
Sempre Amnesty fa risalire la nascita del fenomeno a cavallo tra lo scorso e l’attuale decennio. Quando sulle maglie dei principali club di calcio sono iniziati a comparire sponsor riconducibili a magnati arabi. A fare da apripista è stato Al Mansour. Lo sceicco più ricco e famoso degli Emirati Arabi Uniti, che nel 2008 ha acquistato il club inglese del Manchester City. L’ultimo caso in ordine di tempo riguarda invece il Newcastle e il suo nuovo proprietario. Dopo anni di trattative infatti, l’imprenditore Mike Ashley, ormai ex proprietario dei Magpies, ha ceduto la squadra inglese per la cifra astronomica di 300 milioni di sterline al Public Investment Fund dell’Arabia Saudita.
La strategia saudita
Il fondo, apparentemente indipendente, ma probabilmente gestito dal principe ereditario Mohammad Bin Salman, responsabile secondo un rapporto dell’ONU di essere il mandante dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi, ucciso nell’ambasciata saudita di Istanbul.
Ma la strategia dell’Arabia Saudita va oltre l’acquisto del Newcastle. Il regno ha infatti speso miliardi in eventi sportivi di alto profilo sia per diversificare la sua economia, ma anche – e forse soprattutto – per rafforzare l’immagine pubblica alla ricerca di una legittimazione diciamo popolare del proprio regime.
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