Bianchini: Basket nazionale e romano assente, ai funerali del Presidente Timò

Valerio Bianchini è intervenuto a Radio Cusano Campus. E ha detto la sua, con rara franchezza, sulle pesanti assenze al funerale di Eliseo Timò, storico presidente del BancoRoma che seppe cambiare la geografia del Basket italiano e internazionale. Le esequie si sono celebrate all’Eur, nella Chiesa di San Gregorio Barbarigo.

Tra i pochi presenti, oltre all’allenatore di quell’aurea formazione, Massimi Cilli della Tiber, e una rappresentanza della Nuova Virtus Roma 1960, per la cronaca.

L’intervento radiofonico

Che persona è stata, prima che il valente dirigente di una realtà bancaria?

Bianchini, prima dell’analisi umana, fa un’amara constatazione. Che per la città di Roma e per tutta la pallacanestro, capitolina e laziale, suona come un cazzotto nello stomaco. E l’allenatore che ha fatto le fortune di Cantù, Roma, Pesaro, e che per poco non vince il quarto scudetto con la Fortitudo Bologna contro la Benetton Treviso, non le manda a dire. Lo fa in maniera diretta ma anche risentita, come si evince dalle sue parole pronunciate in radio.

Bianchini: Basket nazionale e romano assente, ai funerali del Presidente Timò

“Continua imperterrita la distruzione delle cose del passato. Perché devo dire che la scomparsa di Eliseo Timò, che ebbe la fantastica idea di rilanciare il basket romano in mille modi, ottenendo poi risultati incredibili, lo scudetto, la Coppa Europa e la Coppa Intercontinentale, e anche una Coppa Korac più tardi sempre con lui presidente; ciònonostante è stato completamente trascurato e dimenticato.

Nessun giornale romano, ha ricordato la figura di Eliseo in occasione della sua scomparsa. Per la verità le presenze del basket ai suoi funerali erano limitate, a parte forse qualcuno appassionato. Non c’era gente di federazione a livello nazionale, nessuno del Comitato Regionale, nessun giornalista a parte qualche appassionato. Episodio triste che ha confermato quello che i romani chiamavano dannatio memoriae”.

L’italiano è un popolo senza memoria, anche su Timò…

Confermi ciò che dice il nostro collega Bruno Liconti. L’italiano è un popolo senza memoria. Questa è una brutta cosa…

Bianchini: “In particolare Roma e il basket romano. In altri posti c’è la capacità di ricordare”.

Vedi Brindisi, Milano, Cantù. “Pesaro”, aggiunge Bianchini. Che dice: “Quello che si vede a Roma oggi, è il riflesso di questa indifferenza”.

Timò dal punto di vista umano?

“Io ho avuto tantissimi presidenti. Eliseo è stato uno dei migliori in assoluto. Perché? Perché era una persona di livello superiore. Era un dirigente di una grande banca internazionale, come il Banco di Roma di allora. Non sapeva granché di sport soprattutto di Basket. Ma sapeva gestire gli uomini. E quindi era un apporto stupendo per lo staff tecnico, perché era sempre pronto a difenderci, a rimettere i giocatori al loro posto. Insomma era un uomo che sapeva far navigare la nave. E infatti abbiamo raggiunto il massimo che si potesse fare”.

Un segno indelebile, la valorizzazione di tanti ragazzi che tu avevi avuto già modo di vedere all’opera.

Tanto indelebile non deve essere stato

Tanto indelebile non deve essere stato“.

Constatazione amara di uno che ha costruito tanto, con Eliseo Timò presidente di quell’indimenticabile BancoRoma. Dalla memoria, bisognerebbe ripartire. Nei mezzi di informazione. Come in federazione. Cominciano a essere troppi, quelli che dimenticano con disinvolta facilità.

Cerchiamo di renderlo noi indelebile, lui era di Voghera, quindi Pavia, quindi Lombardia e quindi aveva un metodo, come te che sei di origine lombarda. Gente che quando da un appuntamento arriva un’ora prima.

“Io penso che si possa lavorare bene anche a Roma e lo abbiamo anche dimostrato quindi non farei una questione di regione ma una questione di gestione dall’alto del fenomeno pallacanestro”.

Un Bianchini emozionato e commosso parla a metà, tra la persona e il dirigente di banca e presidente:

“Lui è stato una persona straordinaria proprio perché aveva questa fermezza accompagnata a una grande gentilezza, con grande empatia; con lui mi trovavo benissimo e così i giocatori. Gli volevano tanto bene: infatti c’erano Polesello e Giraldi, venuti a portare l’ultimo saluto”.

Sul rapporto con i media, nel momento di boom, della Pallacanestro, Bianchini racconta: “Sapeva anche gestire la stampa molto bene. Infatti quando si è trattato di confrontarsi addirittura con Milano non abbiamo avuto timidezza, nel fare questo confronto. L’abbiamo fatto con piglio, con coraggio e anche con la preparazione giusta, propria del lavoro della società”.

Dei tuoi giocatori c’erano in particolare Enrico Gilardi e Stefano Sbarra che si stanno dimostrando bravi organizzatori e bravi tecnici. Quindi il tuo seme l’hanno raccolto e annaffiato.

“Ah sono capacità che hanno loro, stando anche in nazionale, hanno avuto altri allenatori: De Sisti e Guerrieri”

Si può dire però che sono stati fortunati, con voi, non voglio fare il ruffiano perché non sono capace.

“Sono stato fortunato io ad avere giocatori così. Non dimentichiamoci che dentro questa squadra c’è un giocatore di livello assoluto che eri Larry Wright che fu una mia scommessa, aveva smesso di giocare, dovetti andare io lì a convincerlo in Louisiana in mezzo al nulla. Però come tutti i grandi geni aveva un carattere molto particolare, molto complicato, per molte ragioni che non sto qui a spiegare”.

La gran dote era tra i dirigenti a disposizione

Bianchini ricorda con piacere: “Per fortuna abbiamo avuto, primo un presidente come Eliseo Timò che sapeva mettere la gente al posto giusto”.

L’analisi diventa più interessante: “Seconda cosa, molto molto importante: avevamo un gruppo di giocatori molto intelligenti. Se tu pensi a Gilardi, Sbarra, Polesello, Solfrini, c’è anche un fatto sociologico in questo, quelli erano i primi anni ’80. Vuol dire che quei ragazzi lì avevano fatto il liceo ai tempi della contestazione, del post-‘68. Significava prendersi cura dell’aspetto sociale del vivere, dei problemi della gente”.

Un’altra maniera di pensare.

“Questa necessità che c’era allora di cambiare di il mondo, di migliorarlo. Era gente che era abituata alla discussione, all’analisi. E quindi queste capacità le portavano anche nel Basket, nella microsocietà che è una squadra di Basket. Un vantaggio enorme, perché la squadra aveva una grande consapevolezza. Molti erano romani, insomma, l’orgoglio di portare il Basket romano”.

Un Basket romano sempre in difficoltà, nel passato.

“Era sempre stato un po’ così, e aveva avuto dei momenti felici grazie alla gestione di Luciano Acciardi della Stella Azzurra. In Serie A arrivammo addirittura quarti, essendo la squadra di un collegio di preti. Giocavano contro l’Ignis, il Simmenthal, contro i grandi industriali del Nord. Quello era un collegio che per fortuna trovò l’appoggio della Buitoni, però non era facile. Con Luciano Acciardi sono state gettate le basi e noi abbiamo avuto il coraggio di portare la squadra in Serie B, dal palazzetto all’EUR. E poi di seminare intorno all’EUR tutta una serie di società di minibasket. Quella città sterminata che è l’EUR, il Laurentino, la Magliana, era diventata un’area di basket. Che si riservava la domenica nelle partite, che poi naturalmente si è rivista”.

Bianchini dalla Stella Azzurra al BancoRoma passando per Cantù

Anche se io, quando ho lasciato la Stella Azzurra, che ha perso l’abbinamento, ha perso la proprietà di Buitoni, ha avuto grosse difficoltà, fino a sparire dalla Serie A. Però io ho allenato Cantù e son tornato a Roma per far la finale di Coppa delle Coppe contro il Barcellona. Era una Grande Cantù. E pensavo:<<Mah chissà se ci sarà poca gente>>, poi ricordo che c’era lo sciopero dei mezzi il sabato sera. Mentre preparavo i ragazzi: <<Beh non siamo a Cantù che abbiamo il calore del PalaPianella tutto intorno a noi>>.

Invece che cosa accadde?

“Accadde che feci il discorso nello spogliatoio e poi entriamo in campo… e troviamo il pieno, incredibile! Perché la gente aveva voglia di basket, i romani avevano voglia di basket!”

E tu, Valerio, l’hai interpretato come un grande segnale. Perché una banca non si era mai impegnata così tanto nella pallacanestro.

“Ma no, noi ci venivamo da Fiumicino praticamente, dallo Sheraton di Fiumicino, andavamo in pullman verso il palazzo. Io, sulla Cristoforo Colombo, arrivo e vedo il palazzo tutto illuminato. Lì, tantissime macchine parcheggiate, dico: <<Ma dove siamo? Siamo a Los Angeles o siamo a Roma?”.

Il ricordo di quella Cantù è nitido. “Una grande sorpresa. Da lì è nata una grande idea. Io avevo lasciato Cantù dove avevo vinto tutto, scudetto, Coppa delle Coppe e altro. Una follia, venire a Roma, città con 3 milioni di abitanti, con l’idea di riproporre il Basket. Ho trovato in Eliseo Timò un grande collaboratore, un grande entusiasta”.

Uno che è entrato da semplice impiegato, diventando il Presidente di una squadra ammirata e invidiata…

“Sì ma Timò era il capo dei fidi del Banco di Roma. Quello che prestava i grandi miliardi alle grandissime società, agli industriali. Il Basket lo faceva con la mano sinistra. Devo dire che nella mia esperienza ho visto grandi presidenti di gran successo ma disastri veri, come responsabili della gestione di una squadra sportiva. Perché non capiscono il linguaggio dello Sport. E’ un metodo completamente diverso. Quando tu sei padrone di un’azienda, hai i tuoi collaboratori, tutta gente laureata ad Harvard, alla Bocconi, alla Luiss”.

Una netta differenza, tra il Bronx e le università, italiane e USA

Quando gestisci una squadra di Basket parlavi con uno che veniva dal Bronx. Io avevo Daniels, a Pesaro, che aveva tre pallottole in corpo, perché era andato da uno spacciatore di droga a prenderla. Che gli aveva chiesto 30 dollari e lui gliene ha dati 3. E quello gli ha sparato. Ha fatto anche bene perché così ha smesso di usare droga”, dice con arguta ironia.

“Un modo completamente diverso, se non sei capito da questi supermanager. La mente di Timò era una mente aperta. Lui si affidava alle competenze, ai collaboratori. Li sceglieva, li rispettava, e rispettava le loro competenze”.

Una volta di più ti ringrazio, Valerio, perché Eliseo Timò ci ha portato la grinta, la competenza, con una dirigenza fatta dai cugini Saba, Rino e Isio. Penso oggi a Larry Wright fa il preside e l’insegnante del suo liceo; e magari dall’altra parte dell’Oceano racconta di te, ai suoi studenti. Come quando ti preoccupi dell’importanza della pratica sportiva dei giovani, che non devono abusare dell’impiego dei computer. Anche in questo tu hai seminato cultura.

“Eh, cultura”, dice con modesta autoironia. “Sono cose di buon senso, che qualsiasi padre di famiglia capisce”.

(Il testo è stato dattiloscritto in collaborazione

con il radiocronista sportivo Francesco Liotta)

Bianchini: Basket nazionale e romano assente, ai funerali del Presidente Timò

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